Donne di esperienze diverse da tempo si sono alleate per ripristinare uno strumento di contrasto agli abusi e ai ricatti: le cosiddette dimissioni in bianco cioè la lettera che tante lavoratrici e lavoratori si trovano davanti nel momento in cui si dimettono (in)volontariamente e su cui non è apposta alcuna data. Sono costretti a firmarla all’atto dell’assunzione, quando il loro interesse è avere un lavoro, quando sono più fragili e sottoponibili a ricatto. La sequela degli abusi a cui si è sottoposti sotto la minaccia che quella lettera venga usata in qualsiasi momento è infinita. Ma tale situazione non è incontrovertibile nel 2007 infatti una legge molto semplice fu approvata con voto bipartisan stabilendo il principio opposto. La legge 188 prevedeva infatti una procedura relativa all’assunzione di una semplicità disarmante: il modulo col quale si veniva assunti riportava un numero progressivo, tali moduli erano validi per un periodo limitato, per dimettersi occorreva un modulo analogo che ovviamente doveva riportare un numero progressivamente successivo e valido nel periodo relativo alle dimissioni del lavoratore, in questo modo veniva meno l’elemento «ricattatorio». La legge è stata abolita dopo pochi mesi di vigenza come primo atto dell’allora Ministro del Lavoro Sacconi. La legge 188 era uno straordinaria misura di unificazione del mondo del lavoro sulla base di principi di civiltà del lavoro, infatti la norma era valida ed estesa a tipologie di lavoro precario, riguardava donne e uomini, era uno strumento di affermazione e tutela dei lavoratori migranti. Non era una legge punitiva ma rivolta alla trasparenza e alla regolazione delle procedure di eventuale dimissione. In un momento in cui con troppa scioltezza si discute di flessibilità in uscita il contrasto agli abusi dovrebbe costituire una premessa a qualsiasi ragionamento. Lo stesso Ministro Fornero, incontrato dal comitato 188 donne per la 188, ha sostenuto di voler lavorare in tal senso adducendo tuttavia le difficoltà ad operare per il ripristino della legge 188 sia a ragioni di natura politica che procedurali. Alla base delle ostilità di una parte delle imprese e del governo precedente, infatti, venivano addotte difficoltà di tipo «procedurale» rispetto alle complicazioni derivanti dagli applicativi emanati dall’Inps. In realtà un monitoraggio dell’effetto di deterrenza per la sola vigenza piuttosto che dell’applicazione effettiva della legge non è stato mai monitorato. La legge è stata abolita senza essere testata effettivamente eppure ha avuto lo stesso un impatto positivo. Dalla sua abolizione le dimissioni sono cresciute nuovamente, sia come certifica l’Istat valutando i dati 08/09 sulle dimissioni di lavoratrici in concomitanza con l’avvento della maternità (800mila) sia come risulta dai dati delle comunicazioni obbligatorie relative a dimissiono di lavoratori precari prima del raggiungimento dei requisiti utili al rinnovo e/o stabilità contrattuale. In un momento in cui il tema della redifinizione delle regole che sovraintendono il mercato del lavoro e’ al centro del dibattito politico i temi di come si riduce la precarietà, di come si contrastano gli abusi, il lavoro nero, le discriminazioni e di come si ridefiniscono tutele per chi il lavoro rischia di perderlo per la crisi o non ce l’ha, dovrebbero caratterizzare l’ambizione comune di voler determinare condizioni di qualità e stabilita’ del lavoro che possano costituire la dimensione qualitativa di un progetto di crescita del paese. L ’attenzione tutta concentrata solo sull’articolo 18, rischia di far aumentare le discriminazioni. Al Parlamento, alla Commissione Lavoro che discute un testo di legge sulle dimissioni in bianco, al governo la nostra richiesta rimane quella di introdurre uno strumento di lotta agli abusi, ai ricatti, alle discriminazioni. Il ripristino dei principi della Legge 188, come dimostra il caso Rai, sono un fattore di cittadinanza sociale per le lavoratrici e lavoratori.
L’Unità 24.02.12
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Dimissioni in bianco? Una pratica barbara e sommersa
Roberta Agostini commenta la lettera-appello del Comitato “188 firme per la legge 188”, promossa per chiedere un impegno contro le dimissioni in bianco
Senza regole il Paese non cresce, questa è una battaglia per l’affermazione di diritti concreti, a partire da quelli connessi alla maternità. E’ difficile uscire dalla crisi in cui ci troviamo se non si riparte dal lavoro delle donne come motore di crescita e sviluppo per l’Italia.
Le dimissioni in bianco sono una pratica barbara e in larga misura sommersa, che colpisce più duramente le donne giovani del Mezzogiorno, una grande risorsa mortificata. L’abolizione di questo abuso è il punto di partenza di un processo per rendere il nostro un Paese più moderno e civile”. Lo dichiara Roberta Agostini, portavoce della Conferenza delle donne del Partito Democratico, commentando la lettera-appello del Comitato “188 firme per la legge 188”, promossa per chiedere, ancora una volta, un impegno contro le dimissioni in bianco.
“Noi ci siamo battute dentro e fuori le aule parlamentari prima per la legge 188, approvata nel 2007 con voto unanime durante il governo Prodi, e poi, subito dopo la sua abrogazione nel 2008 ad opera del precedente governo, attraverso la riproposizione di una nuova proposta.
Ora – conclude Agostini – continueremo ad impegnarci affinché ci si ritrovi in tante, in modo unitario e plurale, intorno all’approvazione di un provvedimento che afferma il diritto a lavorare senza essere sottoposte a ricatti”.
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