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“Caro Brunetta: il nostro welfare fa acqua da tutte le parti”, di Luigi Bobba

In un articolo apparso nei giorni scorsi sul quotidiano Europa il ministro Renato Brunetta (“Un welfare da fare invidia”) presenta una fotografia precisa della composizione degli occupati e dell’organizzazione del sistema di protezione sociale del lavoro. Nel testo si indugia con dovizia di percentuali sull’articolazione della forza lavoro per poi passare a spiegare il funzionamento dei diversi ammortizzatori sociali, senza però far menzione della concreta e non ideale o presunta capacità del sistema di welfare di far fronte all’urto di una crisi economica della quale ancora non si conoscono bene le proporzioni. Quanto il sistema di protezione è adeguato alla congiuntura economica attuale? A fronte di quella che sembra essere la più grande crisi occupazionale degli ultimi trent’anni, il governo con il pacchetto anti-crisi ha destinato la somma di 600 milioni di euro per i cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga, ovvero le misure di sostegno per i lavoratori che operano al di fuori della grande impresa. Facendo le debite proporzioni i 600 milioni stanziati potrebbero coprire una crisi occupazionale che oscilla tra le 40mila e le 60mila unità. Prendendo in considerazione gli scenari occupazionali tratteggiati dal centro studi Confindustria, in cui si prevede nel 2009 una perdita complessiva di circa 600mila posti di lavoro, è facile prevedere che le azioni poste in essere dal governo siano del tutto insufficienti.
Insomma, i primi interventi del governo sul fronte della tutela dell’occupazione confermano alcuni dei problemi del sistema italiano: a sopportare il costo sociale ed economico della disoccupazione saranno sia i lavoratori a tempo determinato e indeterminato che prestano il loro servizio presso aziende non beneficiarie del trattamento di integrazione salariale sia gli artigiani, gli apprendisti, i cosiddetti liberi professionisti che lavorano per un solo committente e gli iscritti alla gestione separata, per gran parte dei quali non è prevista nessuna copertura o al massimo un mini indennizzo praticamente inutile.
Inoltre, ad aggravare la situazione già di per sé tutt’altro che rosea, nel decreto che autorizza la prima tranche di finanziamento (pari a 151 milioni di euro) vengono riammesse all’utilizzo degli ammortizzatori in deroga anche quelle imprese che hanno terminato l’uso degli ammortizzatori previsti dal regime generale nell’arco temporale dal primo gennaio ad oggi (cfr. ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, “Decreto per l’assegnazione delle risorse a regioni e province autonome” del 19 febbraio 2009).
Già qualche mese fa Tito Boeri e Pietro Garibaldi (“Una rete per tutti” in la.
voce.info del 11.11.2008) facevano notare che i fondi “in deroga” vengono spesso utilizzati “in proroga”, ovvero a favore dei disoccupati di serie A, quelli che già oggi accedono alla cassa integrazione.
Tirando le fila di questo breve ragionamento il sistema di ammortizzatori tanto osannato dal ministro sembra far acqua da tutte le parti: esso di fatto risulta piuttosto iniquo e anche economicamente sottodimensionato.
È nel solco di questa iniquità che, con buona pace del ministro Brunetta, va letta la proposta di Dario Franceschini, segretario del Partito democratico, secondo il quale occorre istituire un assegno mensile di disoccupazione, pari a circa il 60 per cento della retribuzione percepita nell’ultimo anno ogni mese. La proposta mira ad infrangere il muro di cristallo che divide i lavoratori protetti da quelli che obiettivamente non lo sono, proponendo un provvedimento in grado di tutelare tutti coloro che perderanno il lavoro a causa della imponente crisi economica che ha colpito il mondo, senza fare distinzioni di sorta.
Su questo punto, tuttavia, secondo il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, «è nell’intenzione del governo fare anche di più» di quanto proposto da Franceschini, ma purtroppo, date le condizioni in cui versano i conti italiani, un aggravio di spesa pari a 1,5 punti di pil (16 miliardi circa) non è sostenibile. In sostanza, secondo il premier, Dario Franceschini ha individuato una misura sicuramente utile ma non realizzabile.
Ma è veramente così? Sembra proprio di no. Intanto, i fondi da stanziare sono circa un terzo di quanto sostenuto dal premier e poi esisterebbero almeno quattro provvedimenti da adottare per poter raccogliere una quantità di denaro pari a 5-6 miliardi di euro. Innanzitutto, una parte di questa ingente somma potrebbe essere recuperata attraverso la lotta all’evasione fiscale, attività che sembra essere poco praticata dall’attuale governo. Secondo, si potrebbe risparmiare sulla spesa corrente, attraverso la centrale unica degli acquisti per le pubbliche amministrazioni. Infine, si potrebbero utilizzare le risorse non impegnate nell’erogazione dei trattamenti in deroga, previste dal protocollo tra governo, regioni e province del 12 febbraio 2009.
La strategia adottata dal governo e in particolar modo dal ministro Brunetta appare chiara: negare anche l’evidenza e temporeggiare aspettando che passi la bufera. Invece di intervenire seriamente in modo deciso, si preferisce attendere la ripresa del mercato. In tempi che richiedono interventi rapidi, la virtù dell’attesa è tutt’altro che meravigliosa.

Europa, 27 Marzo 2009