La relazione annuale della Corte dei Conti ricorda agli italiani che la corruzione e il malaffare continuano a dilagare nel Paese e le dimensioni del fenomeno sono molto più vaste e profonde di quanto non riesca a venire alla luce. Non è certo questo un buon modo per celebrare il ventennale di “Tangentopoli”, ma saremmo ipocriti se sostenessimo di essere sorpresi da tali risultati. Il ventennio berlusconiano ha accresciuto il fenomeno e non poteva essere altrimenti dal momento che sono stati duramente e continuativamente colpiti alcuni valori cardine di una democrazia liberale: l´uomo di governo ha l´obbligo non solo di essere, ma anche di apparire probo e rispettoso delle leggi e ha il dovere di impegnarsi a garantire il rispetto dell´equilibrio tra i poteri. In questi anni, invece, è avvenuto il contrario ed è stato proposto come modello pedagogico positivo il convincimento che le uniche regole da rispettare fossero quelle capaci di favorire gli interessi personali. Inoltre, ha prevalso una sorta di generale indifferentismo per cui ogni tentativo di definire un quadro rispettoso degli equilibri politici e civili comuni è stato tacciato di insopportabile moralismo.
Ma si tratta di una tabe che viene da lontano e riguarda il popolo italiano nel suo insieme. Come scriveva nel 1930 Carlo Rosselli in “Socialismo liberale”, il fascismo aveva costituito non una parentesi, ma «l´autobiografia della nazione» perché gli «italiani sono moralmente pigri. C´è in loro un fondo di scetticismo e di opportunismo che li porta facilmente a contaminare, disprezzandoli, tutti i valori».
In effetti, una serie di stereotipi accompagna la corruzione italiana, creando il terreno fertile per il suo indisturbato germogliare. Il primo è quello più pernicioso: chi più, chi meno, tutti rubano. Non è vero, ma piace pensare che sia così e di ciò è senso comune compiacersi. La corruzione sarebbe nazionale e democratica in grado di unire il nord al sud, il popolo alla sua classe dirigente. Ma se tutti sono ladri, il risultato inevitabile è che i responsabili del malaffare restano impuniti e i loro comportamenti sono continuamente relativizzati al ribasso. Il contraltare di questo atteggiamento generalista è l´esplosione giustizialista che colpisce all´improvviso e in modo indiscriminato. La reazione, però, è altrettanto proverbiale: «piegati giunco che la piena passa» e i momenti rigeneratori come “Mani pulite” si trasformano troppo rapidamente nel nostro Paese in restaurazioni senza lasciare alcuna traccia di responsabilità e crescita civile, come amaramente constatato dal magistrato Gherardo Colombo.
Il secondo stereotipo è ben rappresentato da Vittorio Gassman nel film del 1971 “In nome del popolo italiano”: «La corruzione è l´unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative. La corruzione, possiamo dire paradossalmente, è essa stessa progresso». Corrotti sono sempre gli altri e la farraginosità della macchina statale o il cattivo funzionamento della cosa pubblica servono a giustificare il mancato pagamento delle tasse, o il favore elargito per ottenere un privilegio. Il malaffare, pertanto, sarebbe funzionale ad accompagnare uno sviluppo senza regole, il propellente necessario a far correre la macchina dello sviluppo imprenditoriale contro i «lacci e i lacciuoli» del sistema Italia. Fatica ad affermarsi un´altra visione economicista, quella che mette al centro i costi della corruzione. A questo proposito, i dati forniti dalla Corte dei Conti sono eccezionali: 60 miliardi di euro l´anno, che vengono caricati sulle spalle dei cittadini e dei contribuenti onesti.
Il terzo stereotipo induce a scaricare tutte le responsabilità sulla politica e il sistema dei partiti senza fare distinzioni: ampie sacche di corruzione albergano anche nella società civile (si pensi solo al ruolo esorbitante svolto in Italia dalla criminalità organizzata), eppure l´attacco alla democrazia rappresentativa e alle sue istituzioni è la via più breve e furbesca per occultare la propria disponibilità alla corruttela in ambiti pubblici e privati, professionali, finanziari e imprenditoriali.
In realtà, il livello di illegalità nel nostro Paese è un impressionante indicatore del deficit di democrazia che esiste al suo interno. Questo è il vero problema e, al di là delle belle parole e delle buone intenzioni, potrà essere affrontato soltanto ricostruendo un tessuto collaborativo tra l´azione civile e il recupero della credibilità della politica.
La Repubblica 17.02.12
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“Dove politico e privato si incontrano”, di PAOLO BARONI
La corruzione è il cancro italiano». Il titolo choc de la Stampa di due anni fa oggi si rispecchia nel nuovo allarme delle Corte dei conti: «In Italia corruzione e malaffare sono ancora molto forti». Non solo, come ha spiegato ieri il presidente Luigi Giampaolino si tratta di «fenomeni ancora notevolmente presenti e le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono alla luce».
Oramai siamo assuefatti agli allarmi ed alle denunce. Quelli della Corte dei conti sono ricorrenti, arrivano a cadenza regolare, raccolgono sempre un coro di consensi, ma purtroppo restano lettera morta. La riprova, l’ultima, ma andando a ritroso si potrebbero trovare decine e decine d’esempi, arriva dalla Camera: il ddl anticorruzione è bloccato da più di anno nei cassetti delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali. E poi ci sono le cronache di questi giorni che ci raccontano la storia dei contributi ai partiti per i rimborsi elettorali o i fondi destinati ai loro giornali: i casi Lusi-Margherita, le vicende di An, la truffa l’Avanti-De Gregorio-Lavitola da 23 milioni di euro sono solo gli ultimi scandali venuti a galla. Senza contare poi le consulenze date per fini clientelari o ancora le tante società controllate dagli enti locali che si rivelano «gusci vuoti», come denuncia sempre la Corte dei Conti. E ancora, le assunzioni clientelari come quelle al Comune di Gubbio finite con 8 arresti e la piaga delle auto blu che si fatica a curare.
E’ più o meno la stessa storia che si ripete e che non trova soluzione. Oggi, come vent’anni fa quando scoppiava Mani pulite. Vent’anni non sono serviti assolutamente a nulla. Perché nulla, o troppo poco, è cambiato.
Non è cambiato il costume politico, ma non sono nemmeno cambiate le abitudini private. I comportamenti dei singoli. Perché come spiegare altrimenti il fatto che l’Italia sia uno dei paesi dove si evade di più. Roba da 100-120 miliardi di euro l’anno sottratti al Fisco, grandi truffe milionarie e piccole spilorcerie, come lo scontrino del caffè che il barista si ostina a non battere. E’ anche per questo che l’Italia, in Europa seconda solo dopo la Spagna, è il paese che evade più Iva, addirittura il 36% segnala Giampaolino.
Sorpresi? Assolutamente no, perché abbiamo appena letto i numeri dei controlli effettuati l’altro ieri dalla Finanza a Napoli, dove in un mercato di quartiere su 50 ambulanti in 40 non avevano nemmeno il registratore di cassa e dove l’82% degli negozi controllati non batteva scontrini, e ci ricordiamo i risultati degli analoghi blitz fatti a Sanremo, Milano, Portofino e Cortina.
Ma anche questo scandalo, con la pressione fiscale alle stelle, le pensioni sotto scacco e gli stipendi che non tengono ormai più il passo dell’inflazione, non può continuare. Il governo dei tecnici promette riforme in questo ed in quel campo: con la lotta all’evasione fiscale, che si intende intensificare, si vogliono tagliare le aliquote; mentre per stroncare la corruzione il ministro Severino annuncia «un grande progetto» e parla di «battaglia seria».
Speriamo bene, perché il livello di sofferenza (e di insofferenza) della gente ha toccato il limite ed il «governo del rigore», dopo aver drizzato i conti, in questa partita ha l’obbligo di essere ancor di più rigoroso. Deve dare un segnale e dimostrare in concreto che i suoi interventi non colpiscono sempre e solo i soliti noti.
La Stampa 17.02.12
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“La nostra mazzetta quotidiana”, di PIERO COLAPRICO
UNO pensa: si sa, i politici rubano. Ma basta un mese di “radiografia” del settore delle mazzette per riscoprire, se a qualcuno fosse sfuggito, che viviamo in un Paese dove dilaga il tangentaro della porta accanto. Infermieri che vendono la lista d´attesa e tecnici che “mangiano” sui controlli, amministratori delegati e consiglieri comunali, tanti s´arrangiano. Ed è bastato un solo mese, anzi proprio quest´ultimo mese di arresti e indagini sulla corruzione spicciola e alta, per avere, a vent´anni esatti da Tangentopoli, il senso dell´Italia per la mazzetta.
Si comincia, e non si può diversamente, da Milano. Per cento euro viene arrestato il 24 gennaio un tecnico comunale. Ha 54 anni e andava in giro per i negozi, tranquillo e autorevole, ad annunciare che le insegne non erano «in regola», che guaio, ma chi le ha fatte? Però con una cifretta ci si poteva accordare, così fan tutti, e lui lo sa bene, visto che solo un mese prima, un suo collega, Gianluca Carta, era incappato in un investigatore, dopo aver chiesto la tangente nel quadrilatero della Moda, in via Spiga, alla boutique Blu Marine. Ma a lui non capiterà, va in periferia: e come poteva immaginare che fossero carabinieri i due grassottelli della Prima Sezione che lo aspettano in una povera pasticceria? Dieci giorni dopo, a Palermo, è però un maresciallo dei carabinieri, stazione di Olivuzza, ad andarci di mezzo. I suoi colleghi lo beccano mentre intasca una mazzetta di mille euro, glieli dà un grafico pubblicitario, coinvolto in un incidente, che si è sentito rivolgere un´offerta di «aiuto» dal militare per taroccare gli atti.
IL SINDACO
Più si sfogliano le carte giudiziarie del mese, più i “prendenti” riescono a vivere con allegra noncuranza le giornate della bustarella. Si registrano gli arresti (28 gennaio) per il sindaco di Portoscuso, in Sardegna, che si occupava del mix tra un parco eolico e i fumi di un´acciaieria, e ci vuole una bella fantasia. Stessa sorte – il 30 gennaio – per sindaco e vicesindaco di Castelnuovo di Ceva, 130 abitanti e 132 anni in due, che incontrano la polizia giudiziaria dopo due mesi di intercettazioni e 20mila euro incamerati. Un´altra pantera grigia della mazzetta viene catturata ieri: è consigliere comunale Udc di Sabaudia, 76 anni, si chiama Nicola Bianchi, è stato sindaco di San Felice Circeo, e per cambiare la destinazione d´uso dello stabile chiedeva 5mila euro a un imprenditore. Quante ne avrà combinate, uno così? L´indagine vuole rispondere a questa domanda e – attenzione – sempre ieri, e sempre in Lazio, e sempre un consigliere comunale (questo del Pd, per par condicio) s´impegna a dar ragione all´allarme della Corte dei Conti: viene acciuffato a Pomezia, davanti al Municipio, dove aveva teso la pigra mano verso il finestrino di un´auto, ricevendo dal guidatore una busta bianca, con all´interno 2.500 euro.
appalti e ferrovie
Gli “affari grossi” non mancano mai, ma è meglio lasciarli sullo sfondo, perché incombono le indagini sulla Regione Lombardia e sull´ospedale San Raffaele, e perché la cosiddetta Sanitopoli abruzzese è ripartita, con Lamberto Quarta, braccio destro di Ottaviano De Turco, arrestato di nuovo, insieme ad altri sette od otto, il 16 gennaio scorso. Emergono a Venezia, a fine gennaio, «le tangenti pagate attingendo al nero dalle mie società» (parola di imprenditore). Portano agli arresti domiciliari Lino Brentan, l´amministratore delegato della società autostrade Venezia-Padova. Un cartello di corrotti e corruttori s´incontrava in Friuli e in Slovenia per concordare la percentuale sugli appalti, e il pubblico ministero Carlo Mastelloni torna in pista nell´inchiesta «faticosa e difficile». Attendiamola, negli esiti, mentre torna a gennaio un evergreen, le ferrovie: nove ex dipendenti di Rfi, società del gruppo Ferrovie, sono accusati di gonfiare i costi degli appalti dei lavori sulla rete ferroviaria in provincia di Roma, un surplus del 15, del 20 per cento.
Nei vari processi si vede che parecchi puntano alla prescrizione, seguendo l´augusto esempio di Silvio Berlusconi, mentre per uscire di scena il patteggiamento è più raro. Lo fanno a gennaio in due. Uno è l´ex sindaco di Varese, due anni, pena non sospesa, perché la presunta tangente incassata ammontava a una milionata. L´altro caso avviene nella mitica Bolzano, dove tutto è trasparente, si dice, più tedeschi che italiani, si dice: infatti Peter Kritzinger, dipendente di una società che si occupava di edilizia sociale, favoriva un “tinteggiatore” e patteggia la pena.
solo 20 euro
Avviene in Puglia l´episodio culturalmente più interessante del mese, riguarda un infermiere di Molfetta, Ignazio Brattoli, accusato di chiedere una miseria, 20 euro a botta. Perché? «Per anticipare gli appuntamenti delle visite mediche specialistiche, obbligatorie e gratuite, alle quali i marittimi devono sottoporsi annualmente se vogliono imbarcarsi». Preciso, il camice bianco segnava nomi e date su un´agenda di colore rosso, sequestrata. Pare andasse avanti da anni.
Come non capire che le vite esemplari del tanti tangentari facciano proseliti? A Catania è stato appena arrestato un interprete tunisino. Pretendeva 500 euro da un libico ospite nel centro di detenzione permanente, per truccarne le dichiarazioni e “trasformarlo” da clandestino in rifugiato politico. Che a dicembre fosse stato arrestato dalla squadra Mobile, per analoghe ragioni, un collega interprete, non l´aveva preoccupato affatto. Forse perché, per un arresto che scatta, chissà quanti altri sono a farla franca, tra queste infine “cricche della bistecca” in grado di moltiplicarsi e prosperare in un Paese che, vent´anni dopo l´arresto di Mario Chiesa, ha partorito – e va detto – soprattutto leggi ad personam, e lasciato perdere corruzioni, falsi in bilancio, truffe totali al fisco…
La Repubblica 17.02.12