attualità, cultura

"È colpa solo della Rai", di Nino Rizzo Nervo

Non dirò che Celentano non mi è piaciuto perché cadrei nel suo stesso errore, quello di dare enfasi ad una banalità. Su una cosa vorrei però che riflettesse: l’utilità di un giornale la possono decretare soltanto i lettori, perché se lo facessero altri ci dovremmo veramente preoccupare dello stato di degrado del paese che chiude per decreto i giornali dei quali non si condividono le idee.
Io leggevo, leggo e voglio, caro Adriano, continuare a leggere sia Avvenire che Famiglia Cristiana e non permetterò a nessuno di togliermi questa libertà. Né voglio addentrarmi in una critica a questa edizione di Sanremo. Ci penseranno altri che ne hanno più titolo. Traggo, invece, spunto da quanto è successo per sottolineare, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la difficile stagione che sta vivendo una grande azienda come la Rai che appare ogni giorno di più fuori controllo. Di Sanremo la cosa più irritante non è stata la prima serata dell’Ariston (l’infortunio in televisione è sempre in agguato), ma quanto è avvenuto il giorno dopo a viale Mazzini. La decisione di “commissariare” una trasmissione è senza precedenti e sembra il patetico tentativo di una direzione generale che cerca di nascondere dietro una decisione apparentemente muscolare la propria incapacità di governo di una macchina complessa qual è sempre stata e continua ad essere la Rai.
Suggerisco al direttore generale di trovare il tempo, se non lo ha già fatto, di andare al cinema e gustarsi la straordinaria interpretazione di Meryl Streep. Non basta, infatti, autodefinirsi “the iron lady” in versione italiana, scoprirà che la Thatcher quell’aggettivo se lo guadagnava sul campo giorno dopo giorno perché aveva idee, competenze, visione, carattere, autorevolezza. E soprattutto coerenza nei comportamenti. Da tempo con altri consiglieri di amministrazione, senza sortire alcun effetto, avevamo messo in guardia il direttore generale del fatto che la Rai è l’unico editore espropriato del suo potere editoriale da soggetti esterni all’azienda.
Le ragioni sono tante ma la più inquietante è l’indebolimento professionale della filiera produttiva interna delle reti dovuta all’invadenza della politica nei processi di nomina. Anche sul Festival, dove la Rai ogni anno si gioca l’immagine di un’intera stagione televisiva, in più occasioni avevamo chiesto di conoscere il progetto ed i costi. A dicembre girava a viale Mazzini questa storiella: quando nella prima conferenza stampa svoltasi a Milano a fine anno Morandi e Mazzi, il direttore artistico, annunciarono la presenza di Celentano a Sanremo né Mazza, direttore di Raiuno, né la Lei, direttore generale ne sapevano nulla. Non avevo creduto a quella che ritenevo essere stata soltanto una malignità. Adesso, in verità, non ne sono più così certo. Se il consiglio non ha mai saputo nulla di Sanremo probabilmente è potuto avvenire perché anche il direttore generale poco ne sapeva.
Adriano Celentano del resto è sempre stato così. Io non sono rimasto sorpreso ma deluso perché un’ora all’interno di Sanremo è per un’artista un’occasione irripetibile e non la si può buttar via in quel modo. Non è lui, però, il problema, ma la scarsa autorevolezza dei suoi interlocutori.
Adesso la soluzione adottata (l’invio di un “commissario ad acta”) è peggiore del buco e rischia di assumere il sapore della censura preventiva. Un’azienda complicata come la Rai non si governa solo con il pugno di ferro. Fare l’editore è un mestiere difficile e complicato. Con gli autori, con gli artisti si dialoga e se c’è condivisione su un progetto comune le norme contrattuali diventano una formalità. Ma per poter dialogare bisogna essere autorevoli e non soltanto apparire tali.

da Europa Quotidiano 16.02.12

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“Una collettiva perdita di senso”, di CURZIO MALTESE
La bomba Celentano è esplosa anche a palazzo Chigi. Convincendo definitivamente Monti che «la Rai è ormai un´azienda nel caos», su cui intervenire con la massima urgenza.Anzi, di colossale idiozia. Accade che Adriano Celentano spari la consueta salva di baggianate e in un paese dove nulla è più indispensabile del futile si scateni un´ondata di reazioni. Gravi, indignate, plaudenti, pro o contro, ma sempre sciocche. Dai vertici Rai, dalla politica, dal giornalismo e finanche dalla Chiesa, che nella nostra ingenuità laica credevamo comunque un´organizzazione di gente seria.
Il record assoluto di apnea del pensiero è stato raggiunto dal direttore generale della Rai, incredibilmente la signora Lorenza Lei, la quale ha commissariato il festival attraverso la nomina a supervisore di Antonio Marano, braccio televisivo della Lega, uno che a non conoscerlo è inutile descrivere. Il personaggio del commissario al festival della canzonetta è una trovata che non sarebbe venuta in mente neppure agli sceneggiatori del cinema demenziale sotto effetto di funghi allucinogeni. Ora immaginate da stasera il povero Marano, si suppone dotato dello stesso impermeabile dell´ispettor Clouseau, che si aggira circospetto nei camerini, intento a censurare i copioni. Dopo averli decifrati, che già è difficile. Un´altra bordata di fesserie celentanesche e forse Morandi sarà costretto a salire sul palco scortato da due carabinieri come Pinocchio, mentre la Celere presidia le curve dell´Ariston e gli elicotteri dell´esercito sorvolano i cieli della Riviera.
Al secondo posto, per insensatezza, si piazza la reazione delle gerarchie ecclesiastiche. Il comunicato dei vescovi, il battaglione degli opinionisti cattolici e lo stesso stimabile direttore di Famiglia Cristiana, don Sciortino, che addirittura lanciano al Molleggiato una sfida sul piano della disputa teologica. Una cosa da far morire dal ridere i teologi veri, come Joseph Ratzinger. A ben pensarci, potrebbe essere anche questo l´attentato alla vita del papa di cui si favoleggia da qualche giorno.
Nella generale perdita di senso dell´umorismo e forse di senso e basta, conforta l´assenza (per ora) di repliche da parte della Consulta, altro bersaglio dell´invettiva ignorante. Almeno i giudici della Corte costituzionale avranno capito che Celentano non sapeva di cosa stava parlando. Era evidente che il trio composto dall´impagabile filosofo della via Gluck, il leggendario Pupo e Gianni Morandi, discettava della Consulta, come di tutto il resto, senza sapere bene se si trattasse di un organo istituzionale, un modello Fiat – la famosa Consulta turbo con quattro ruote motrici – o una olimpionica di sci nordico.
Ma nonostante tutto, grazie Celentano. Massì, perché sia pure attraverso uno dei più brutti pezzi di televisione della storia, il caso Celentano ha illuminato il caso Rai. La mediocrità, l´ipocrisia e l´inadeguatezza dell´attuale vertice della tv di Stato. Un governicchio da quattro soldi, ultima eredità miserabile del berlusconismo, buono a nulla e impaurito da tutto, che prima specula sulla popolarità di Celentano per risollevare un´azienda ridotta all´orlo del fallimento e poi non trova né il coraggio di difendere le proprie scelte né quello di cambiarle fino in fondo. Grazie Celentano anche per averci ricordato quanto sia stato straordinario il discorso di Roberto Benigni l´anno scorso. Perché non basta ottenere l´identico contratto per esprimere lo stesso livello artistico. L´intelligenza, la cultura, il gusto non sono la risultante di codicilli burocratici. E grazie Adriano perché, se predichi come un prete furbo, canti ancora da dio. Insomma un mestiere almeno lo sai fare alla grande. Ma il direttore generale Lei, il commissario Marano e il vice commissario Mazza, tutti questi raccomandati di partito, quando ne impareranno uno decente?

La Repubblica 16.02.12

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