Parla il responsabile riforme del Pd: «La legge elettorale non deve produrre coalizioni forzose. Ragioniamo su un proporzionale corretto». La lezione del passato «Il sistema bipolare e maggioritario non ha funzionato. Non dobbiamo ripetere l’errore del ’94». Le prossime elezioni non decideranno soltanto chi sarà maggioranza e chi opposizione. Diranno se ha ancora legittimità un sistema democratico fondato sui partiti o se prevarrà la prospettiva di affidarci alla pura tecnica o a qualche “condottiero straniero” ». Per questo, dice Luciano Violante, quella sulla legge elettorale «non è una discussione che si fa in salotto»: «La posta in gioco è molto alta». Il responsabile del Pd per le riforme sta incontrando, con l’onorevole Bressa e il senatore Zanda, esponenti di tutte le altre forze politiche (ieri è stata la volta di Casini, oggi toccherà alla Lega) per trovare un’intesa che permetta di superare il Porcellum ma anche di disegnare un diverso assetto istituzionale. «Il sistema bipolare e maggioritario ha consentito di vincere ma non ha consentito di governare».
Per questo oggi ci si affida a un governo tecnico?
«La tecnica entra in campo se la politica non sa risolvere i problemi». Problemi economici.
«La crisi istituzionale è grave quanto quella finanziaria. La nostra democrazia fondata sui partiti politici perderebbe la sua stessa ragion d’essere se non fosse in grado di portare a compimento il compito di risolvere quella crisi».
Il rischio?
«Pensiamo a quanto accaduto nel ’94, quando non ci siamo accorti che in crisi non erano solo Dc e Psi, ma l’intero sistema politico. Abbiamo pensato che le elezioni servissero solo a stabilire il vincitore e invece sono servite a cambiare radicalmente il sistema politico. Ora siamo consapevoli dei rischi. La riforma elettorale e quella costituzionale si collocano dentro questo orizzonte. Devono guidare il cambiamento». Le è sembrato che le altre forze politiche ne siano consapevoli?
«A nessuno sfugge che stiamo parlando di una condizione che ora siamo in grado di affrontare, tra un anno rischiamo di non esserlo già più».
L’intesa è più facile sulla legge elettorale o sulle riforme istituzionali?
«C’è un rapporto stretto tra le due. La legge elettorale ha bisogno di un adeguato supporto costituzionale».
I cui cardini sarebbero?
«Riduzione del numero dei parlamentari e sfiducia costruttiva. Inoltre il presidente del Consiglio deve poter nominare e revocare i ministri e chiedere il voto a data fissa dei provvedimenti del governo. Potrà chiedere al Quirinale lo scioglimento delle Camere, anche se potrà non ottenerlo. Si sta ragionando sul superamento del bicameralismo paritario. Sono strumenti che servono per governare».
E una nuova legge elettorale come si dovrebbe inserire in questo quadro istituzionale?
«Rovesciando il ragionamento dominante fin dal ’93. L’obbligo di coalizzarsi, previsto sia dalla legge Mattarella che dalla legge Calderoli ha avuto esiti disastrosi. Si sono messi insieme non quanti avevano lo stesso programma di governo ma quanti avevano lo stesso avversario. Poi però chi ha vinto le elezioni non è stato in grado di governare. Berlusconi è caduto dopo tre anni. Noi, prima, dopo due. E oggi il Paese non può più permettersi coalizioni caravanserraglio create per vincere le elezioni ma poi incapaci di governare».
Qual è la proposta su cui è possibile l’intesa con le altre forze?
«Innanzitutto restituire agli italiani il diritto di scegliere i parlamentari. Stiamo ragionando su un sistema proporzionale con sbarramento al 4 o 5% che favorisca il bipolarismo senza imporlo. Poi saranno gli italiani a decidere, dando a una singola forza politica un consenso sufficiente per governare da sola o a stabilire se quella forza per governare debba allearsi con altri. In ogni caso decideranno i gruppi parlamentari. Questa sarebbe un’alleanza per governare, non solo per vincere le elezioni».
Si tratta però di una proposta che non salvaguarderebbe il bipolarismo.
«Il bipolarismo va letto e interpretato nella vicenda storica italiana. Il meccanismo maggioritario amico-nemico fa sì che il Parlamento diventi una protesi del governo e il luogo nel quale si esasperano i conflitti, non quello in cui i conflitti si prevengono e compongono. Il bipolarismo può essere favorito, non imposto».
Non è che il Pd sta accettando il proporzionale perché punta a un’intesa col Terzo polo?
«Noi non vogliamo intese privilegiate con nessuno. Abbiamo incontrato esponenti dell’Idv, di Sel, dei Verdi, del Pdl, del Terzo polo e incontreremo Lega, Federazione della sinistra, Socialisti. Abbiamo anche visto quanto è costato avere forze politiche rappresentative fuori dal Parlamento e per questo sarebbe possibile un diritto di tribuna per chi non supera lo sbarramento».
Parisi, intervistato dall’Unità, ha contestato il fatto che accettando il proporzionale non rispettate le decisioni assunte dall’Assemblea nazionale Pd, che aveva votato per il maggioritario con doppio turno.
«È vero. Abbiamo lasciato quel testo, come il Pdl ha lasciato il suo. Quando vai a un incontro con altri, devi decidere se lo fai per esigenze di bandiera o per costruire davvero una situazione nuova. Noi abbiamo rinunciato al secondo turno, il Pdl al premio di maggioranza. Quando si negozia non si può pretendere di imporre il proprio progetto».
Tonini, sempre su questo giornale, ha chiesto un “compromesso più equo” del correttivo disproporzionale di 142 seggi.
«Ha ragione. Va tenuto conto di questa obiezione. Comunque quella riflessione era precedente all’orientamento favorevole alla riduzione del numero dei parlamentari».
E l’obiezione che non indicando prima del voto le alleanze non ci sarebbe la chiarezza che c’è stata finora?
«La chiarezza era apparente. Si fingeva di fare un programma, che era una somma disomogenea di proposte nel loro insieme irrealizzabili. In realtà si voleva solo sconfiggere l’avversario. Con la nuova legge elettorale, se riusciremo nell’intento, si sarà giudicati non per la compagnia con cui si va ma per gli obbiettivi che ti proponi per il Paese».
L’Unità 15.02.12