Pier Luigi Bersani conclude il suo viaggio in Tunisia all’insegna del lavoro. Incontra il segretario dell’Ugtt, poi lancia un segnale al governo: «La riforma del mercato del lavoro si faccia in fretta senza conflitti». «I tunisini mi hanno detto che pre ferirebbero avere i nostri problemi, per quel che riguarda il lavoro, e ci credo». Sorride. «Ma anche da noi non è che la situazione sia tanto bella», sospira Bersani scuotendo ora serio la testa. «Bisogna chiudere rapidamente il tavolo sulla riforma del mercato del lavoro, arrivando a un accordo tra le parti perché guai se si aprisse ora una fase conflittuale. Ma soprattutto bisogna smetterla di discutere soltanto di regole, servono politiche che stimolino gli investimenti, misure che diano un po’ di sprint all’economia. Non è possibile che non si affronti mai la questione di come creare più occupazione». Il leader del Pd ha appena finito di parlare con il leader del principale (praticamente unico) sindacato della Tunisia, l’Union générale des travailleurs tunisiens. Si chiama Hassine Abbassi ed è stato eletto per dare un segnale di rinnovamento anche in questo campo dopo la fine del regime di Ben Ali. Per Bersani è l’ultimo incontro di questo viaggio organizzato a un anno dallo scoppio della cosiddetta rivoluzione dei gelsomini.
LA TRANSIZIONE TUNISINA
La primavera araba è partita da qui e le speranze riposte in questo processo democratico sono tante, su ambedue le sponde del Mediterraneo. La transizione però sta incidendo pesantemente su un’economia già debole. Racconta il segretario dell’Ugtt Abbassi che il tasso di disoccupazione ufficiale (20%) nasconde una realtà ben peggiore, che gli effetti del crollo del Pil si sentiranno nei prossimi mesi, che il forte calo del turismo (settore che produceva il 7% del Pil) è tanto immotivato (le zone costiere non sono state toccate dalla violenza) quanto devastante (meno 65% solo dall’Italia) e che se il governo non risponderà in modo adeguato alla tensione salariale che c’è nel Paese la stabilizzazione correrà forti rischi.
Ma per paradossale che possa sembrare, i vertici sindacali e istituzionali tunisini (nei giorni scorsi Bersani ha incontrato il primo ministro Jebali e il presidente Ben Jaafar) si sono mostrati altrettanto preoccupati per la situazione europea. Ma poi non è difficile capire il perché quando viene spiegato che causa crisi, molte aziende del vecchio continente stanno ritirando sia commesse che personale dalla Tunisia, e l’economia nazionale ne risente pesantemente. L’Italia, che è il secondo partner commerciale di Tunisi, è più interessata di altri a produrre un’inversione di tendenza. Dice Bersani mentre lascia la sede nazionale dell’Ugtt: «Noi abbiamo dei problemi ma attenzione che prima o poi li avrà anche la Germania perché rischiano tutti se non si avvia una politica europea che stimoli l’economia, la domanda interna e la produzione industriale». Anche l’Italia, a questo punto, deve cambiare passo. «Il problema è come creare occupazione. Bisogna chiudere rapidamente il tavolo sulla riforma del mercato del lavoro cercando di stare con i piedi per terra. Il problema non è come licenziare. Se poi alla fine, preservandolo perché non c’è nessuna ragione di toglierlo, si vuole ragionare su come perfezionare l’applicazione dell’articolo 18, si vedrà. Ma tutto va fatto in un clima di sforzo comune, perché guai se si aprisse una fase conflittuale».
Discutere di regole però non basta, dice Bersani, «servono politiche che creino occupazione». Il Pd avanzerà le sue proposte, ma per dare un ulteriore segnale a governo e opinione pubblica il leader dei Democratici sta lavorando anche su un’iniziativa protocollata col titolo “Destinazione Italia”. Nelle prossime settimane partirà per un tour nelle zone del Paese che si caratterizzano o per la presenza di aziende in crisi o per l’eccellenza dimostrata in questi anni. Un viaggio «nell’Italia che vuole ripartire», si legge su una bozza di programma a cui stanno lavorando al Nazareno, che toccherà soprattutto realtà del Mezzogiorno e del Nord Est. Al centro ci sarà anche la «riscossa civica» a cui, secondo Bersani, pensava Monti quando ha sollecitato gli italiani ad avere un diverso stile di vita. «Cambiare per avere più civismo, sì. Serve maggiore fedeltà fiscale e che ciascuno faccia il suo mestiere».
L’Unità 11.02.12