Con un orecchio rivolto ad Atene e l’altro a Francoforte. La seduta di ieri degli operatori è trascorsa più o meno in questo modo, con un’attesa in gran parte frustrata dagli eventi. Certo, c’è stata la diffusione della notizia dell’accordo per il salvataggio della Grecia attorno metà giornata, che è stata però poi superata nel pomeriggio da una serie di «se» e «ma» che rischiano di riportare la vicenda quasi al punto di partenza. E c’è stata ovviamente la decisione della Banca centrale europea (Bce) sui tassi di interesse dell’Eurozona (invariati all’1%, come nelle previsioni) e la successiva conferenza stampa del presidente, Mario Draghi, ma evidentemente le novità non sono state tali da mutare l’atteggiamento attendista dei mercati.
Così le Borse hanno «navigato a vista», come si dice in gergo, finendo poco lontane dai valori della vigilia: Francoforte è salita dello 0,59%, Parigi dello 0,43%, Londra dello 0,33% e anche Wall Street si è adeguata al panorama generale con l’S&P 500 a +0,15% e il Nasdaq a +0,39%. Anche Milano ha chiuso sostanzialmente piatta (-0,09%), ma in Italia ci si è consolati con gli acquisti sui BTp e con l’ennesima discesa del differenziale di rendimento nei confronti del Bund tedesco, quello spread che ieri è tornato a 347 punti base, ovvero gli stessi livelli di inizio settembre.
L’onda lunga dei titoli del Tesoro, conseguenza della maxi-asta di fine dicembre con cui la Bce ha pompato nel sistema finanziario liquidità per quasi 500 miliardi di euro, sembra proseguire visto che il tasso del decennale del nostro Paese si è ridotto fino al 5,48% (anche in questo caso siamo ai minimi da 5 mesi). E nel frattempo continua anche a ridursi lo scarto nei confronti della Spagna (29 punti base sui titoli decennali, 39 ancora su quelli a 5 anni), a testimonianza che il miglioramento della situazione non è probabilmente soltanto merito delle mosse di Draghi.
Ma il dato di mercato di rilievo di ieri, sempre rimanendo sul tema dello spread, è stato semmai quello del decennale tedesco, il cui rendimento è risalito per la prima volta da metà dicembre oltre il 2% (contribuendo ulteriormente alla riduzione della forbice). Al di là dei pochi centesimi di differenza rispetto al giorno precedente, è significativo che il movimento sia avvenuto quasi tutto nel primo pomeriggio, proprio quando le indicazioni di una chiusura favorevole dell’affaire Grecia si facevano più insistenti. Ed è altrettanto interessante notare che la stessa sorte ieri è toccata al Treasury, il titolo a 10 anni degli Stati Uniti che condivide con il pari grado tedesco il ruolo di «bene rifugio», i cui tassi ieri sono anch’essi risaliti sopra il 2 per cento.
Tradotte nel linguaggio dei mercati, queste vendite sui titoli tedeschi e Usa segnalano la volontà degli operatori di mettersi alle spalle il periodo più buio della crisi e di premere con decisione sul pulsante «risk on». Così si spiega anche il recupero dell’euro, il cui andamento è almeno da un anno a questa parte fortemente correlato con l’appetito per il rischio degli investitori, che ieri ha fatto capolino oltre quota 1,33 dollari (massimi da due mesi) prima di ripiegare leggermente in serata fino a 1,3280. Una volontà che però, almeno per il momento, è frenata dalla perdurante incertezza sull’esito delle partite in gioco, Grecia in primis.Alla risoluzione dei dubbi degli investitori non giova infatti il continuo balletto dei Governi europei sul salvataggio di Atene, né l’atteggiamento attendista della Bce. Dalla riunione di ieri a Francoforte è emersa una visione meno pessimistica sullo stato di salute dell’Eurozona, cosa che allinea i banchieri al clima moderatamente fiducioso che si respira sui mercati nelle ultime settimane, ma che al tempo stesso allontana l’ipotesi di nuovi tagli del costo del denaro che non farebbero certo dispiacere agli operatori. Il convitato di pietra, però, rimane l’asta a 3 anni di fine febbraio, il nuovo evento in grado di sparigliare di nuovo le carte sulla tavola di chi investe.
Il Sole 24 Ore 10.02.12