Da oltre un mese assistiamo da parte del governo a una successione sempre più incalzante di battute argute e sentenziosi aforismi che girano tutti attorno allo stesso tema: il «posto fisso». Di simili dichiarazioni solo ierine sono arrivate ben due. La prima del ministro Fornero, che se l’è presa tra l’altro con l’«illusione» del «posto a vita». La seconda del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, a proposito dei giovani che vorrebbero il posto fisso «vicino a mamma e papà».
È giusto prendere atto di tutte le rettifiche che in queste settimane sono seguite a molte di tali dichiarazioni, a cominciare dal ministro Cancellieri, che oggi precisa il senso delle sue parole proprio sull’Unità. Del resto lo stesso Mario Monti, dopo la sua infelice battuta sulla «monotonia» del posto fisso, ha sentito la necessità di spiegarsi meglio. Il problema sollevato da simili dichiarazioni non è però una questione di stile o di sensibilità, ma di sostanza. Il punto è che cosa dobbiamo aspettarci, per esempio, da uncapo del governo che usa l’espressione «apartheid» per
descrivere la condizione dei precari rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato (che sarebbero quindi equiparati ai segregazionisti del Sudafrica, come fossero stati loro a invocare la pletora di contratti flessibili in cui sono stati “ghettizzati” i giovani). Il punto è quale idea dell’Italia esprima un presidente del Consiglio che indica come causa prima degli attuali problemi del Paese il «buonismo sociale» dei passati governi (dobbiamo dunque pensare, come abbiamo letto in uncommento circolato in rete, che sia venuta l’ora del «malvagismo sociale»?).
Dinanzi alle polemiche suscitate dalle ultimedichiarazioni dei suoi ministri, il presidente del Consiglio ha assicurato ieri che non è intenzione del governo «esasperare» gli animi sul tema del mercato del lavoro. Precisazione apprezzabile,maanche indicativa della necessità di allontanare il sospetto che questo stillicidio continuo di battute e battutine, sempre con lo stesso bersaglio, configuri una strategia. Sta di fatto, in ogni caso, che questa pressione costante crea un clima, tende a orientare l’opinione pubblica, alimenta quella che appare a volte come una campagna di stampa a media unificati. E così i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato, dipinti come ipergarantiti, privilegiati abitanti di un’intoccabile «cittadella dorata», diventano sulla grande stampa l’ultimo capro espiatorio della crisi. Speriamo almeno che nessuno trovi il coraggio di compiere l’ultimo passo, scagliandosi contro la «casta» degli operai o dei maestri di scuola. Ma soprattutto ci auguriamo che il governo non si faccia trascinare su questo terreno dai tanti interessati sostenitori che attizzano simili campagne.
Questa strategia dell’irrisione si sposa infatti con la politica del fatto compiuto: piuttosto che affrontare apertamente una discussione sul modo in cui si pensa di fare uscire l’Italia dalla crisi economica, dichiarando subito le proprie intenzioni, si costruisce una sorta di gigantesco piano inclinato, per spostare ogni giorno di un grado l’asse del dibattito, in una discesa sempre più ripida verso la deregolazione. Un obiettivo che credevamo sepolto per sempre sotto le macerie della Lehman
Brothers e dell’ideologia liberista, messa sotto accusa ormai in tutto il mondo. Meno che in Italia, evidentemente. Lo conferma, purtroppo, l’affermazione del ministro Fornero secondo cui le attuali tutele dei lavoratori più protetti andrebbero «spalmate» su tutti. Un’affermazione che tradisce un’idea del Paese e del suo futuro che non ci rassicura per niente. La società italiana non è una marmellata, e non è auspicabile che lo diventi.
Ma soprattutto non sono marmellata i diritti delle persone. Milioni di famiglie già duramente colpite dalla crisi, dalle ripetute manovre finanziarie e dalla pesante riforma delle pensioni appena varata, non meritano di vedere la propria vita rappresentata come una fetta di pane imburrato su cui qualcuno possa «spalmare» a piacimento diritti e tutele.
L’Unità 07.02.12