A Oscar Luigi Scalfaro, uomo della Costituzione, non è stata risparmiata la polemica neppure nel giorno della sua morte. I giornali di destra hanno riproposto l’antico risentimento per le vicende del ’94. Più squallidamente i rappresentanti Pdl di Bologna, Modena e Reggio Emilia sono usciti dalle aule consiliari durante le commemorazioni. Si tratta di un gesto che umilia le istituzioni e che nessun dissenso politico può giustificare. Scalfaro era un uomo intransigente. La sua stella polare era sì la Costituzione «casa di tutti gli italiani», ma la sua idea di politica non era riconducile a una mera pratica di compromesso. Le polemiche e i duri attacchi personali lo ferivano, tuttavia ha sempre pensato che la politica fosse innanzitutto battaglia e richiedesse convinzione e rischio. Il centrodestra italiano cresciuto all’ombra di Berlusconi ha coltivato e rappresentato un’idea radicalmente diversa
dalla sua. Una diversa idea di politica e una diversa etica della politica. Ma ciò che infine ha provocato lo scontro con la «squadra» berlusconiana è stata l’interpretazione della Costituzione. Il Cavaliere è sceso in campo sull’onda populista.
I suoi motti erano iper-democratici e iper-maggioritari: in nome del potere ai cittadini pretendeva il mandato diretto del premier, «unto del Signore». La Seconda Repubblica si è materializzata sulle ceneri di Tangentopoli senza modifiche formali alla Carta. E così la Costituzione «materiale» è diventata terreno di scontro politico, laddove invece per mezzo secolo è stata il luogo della condivisione, anzi dell’«allargamento delle basi democratiche». Da presidente, Scalfaro ha combattuto contro la modifica «di fatto» alla Costituzione, di cui Berlusconi nel ‘94 si fece interprete e leader. La gestione della crisi del primo governo Berlusconi – quella che i giornali di destra indicano ancora come il «ribaltone» – fu un passaggio decisivo per ribadire il primato della Costituzione formale, consegnataci dai costituenti, e per respingere i tentativi di torsione, sostenuti da tanti politologi di passaggio.
A tanti anni da quello scontro si può dire che la vittoria di Scalfaro salvaguardò la qualità democratica del nostro sistema. Anche se ovviamente non riuscì a evitare la crisi politica e istituzionale, che maturò negli anni successivi. La Seconda Repubblica
ha tradito le sue promesse, perché non si può innestare un presidenzialismo di fatto in un sistema parlamentare (neppure attraverso il maggioritario di coalizione). Scalfaro alzò una barricata in difesa della Costituzione. La destra per questo non lo perdonò mai. Non lo perdonò anche perché, dal punto di vista di Scalfaro, quell’assalto alla Costituzione «materiale» violava un principio etico della politica. La vittoria di Scalfaro, però, ha preservato la stessa dialettica della Seconda Repubblica, trattenendo almeno in parte le spinte alla delegittimazione reciproca. E se oggi si può sperare, finalmente, in una riforma che apra una nuova stagione politica, se oggi una parte del gruppo dirigente del centrodestra è più avvertita del rischio populista, molto si deve al coraggio e alla fermezza di Scalfaro. Il suo messaggio comunque reca unsegno di contraddizione anche per il centrosinistra, che oggi giustamente lo celebra e gli rende onore. Scalfaro è uno dei padri del Pd. Lo è perché il Pd, nato dall’esperienza dell’Ulivo, si è definito sempre più come il «partito della Costituzione». Attenzione: questa identità non può essere rivendicata in modo
esclusivo. Essere il partito della Costituzione vuol dire costruire attorno ad essa, ed eventualmente alle modifiche che il Parlamento apporterà alla seconda parte, una larga, matura condivisione. Il partito della Costituzione è un partito fedele ai principi fondativi e a quell’idea di democrazia, radicata nella società, negli interessi, nelle istituzioni, che certo non si concilia con il populismo corrente e con le fughe ipermaggioritarie. Ma dobbiamo porci con onestà la domanda: quanti, anche a sinistra, in questi anni hanno coltivato l’idea di una Seconda Repubblica presidenzialista nei fatti, senza neppure il contrappeso di poteri radicati nella Costituzione formale?
Scalfaro era anche un cattolico intransigente. Un uomo di fede, devoto, persino conservatore, che aveva però conosciuto e praticato la laicità della politica, incrociando talvolta l’incomprensione della Chiesa ufficiale. Non era un uomo del Concilio, come tanti cattolici per i quali è stato facile, quasi naturale, l’impegno a sinistra per l’uguaglianza e la solidarietà. Nella Dc ha combattuto da destra la battaglia contro il centrosinistra di Moro. È stato, appunto, il filo della fedeltà alla Costituzione a portarlo ad essere, a pieno titolo, uno dei fondatori del Partito democratico. Forse addirittura uno dei simboli. Per una personalità che tanto ha dato alla Patria, si ha timore di parlarne come uomo di parte. Ma l’etica della politicasta nel cercare il bene comune anche muovendo da una parte.
L’Unità 31.01.12
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“Addio a Scalfaro dalle due Repubbliche, manca il Pdl”, di Alessandro Capponi
Ci sono ragazzi giovanissimi, ventenni o poco più, che si abbracciano commossi appena fuori la chiesa di Santa Maria in Trastevere. Altri sono dentro, seduti sui gradini in marmo ai piedi dei confessionali. Sono venuti in tanti per dire addio a Oscar Luigi Scalfaro: politici della Prima Repubblica, moltissimi della Seconda, e cittadini di ogni età e ceto sociale, che lo accompagnano anche nel tragitto breve, poche centinaia di metri, tra la camera ardente e il funerale. Accade poco prima delle due del pomeriggio: gli uomini della scorta — così robusti, così in lacrime — portano il feretro a spalla per una stradina di Trastevere. È una bellissima giornata di sole, il cielo terso, le persone immobili ai lati, altre affacciate ai palazzi. E c’è un silenzio così pulito, in quei pochi minuti, così colmo di rispetto.
«Sul suo comodino c’erano la Bibbia, le fonti francescane, la Costituzione e il rosario. Ecco: forse Scalfaro era tutto qui». Monsignor Vincenzo Paglia offre ai presenti un’omelia carica d’affetto, prima ancora che di stima: Marianna è seduta nelle prime file, si commuove, a tratti sorride. Come quando ascolta ricordare l’amore di Scalfaro per la moglie Maria, «perduta giovanissima, lui diceva che era bellissima, e tu Marianna lo prendevi un po’ in giro dicendogli che era vecchio. Oggi si riabbracceranno con un amore ancora più grande, senza più separazione». Ecco, ci sono passaggi dell’omelia che raccontano l’uomo, non solo il politico: «Il turbamento che ebbe nel vedere la condizione dei poveri di Calcutta, quando volle partecipare ai funerali di Madre Teresa». E ancora: «Fu audace, durante la guerra tra Iran e Iraq, nel chiedere al governo turco di lasciar attraversare la frontiera a trecento profughi, permettendo così loro di sfuggire alla morte. “Un vero miracolo”, commentò lui stesso». La bara è semplice, in legno chiaro, sopra c’è un bouquet di peperoncini. Ovunque, in chiesa, i politici che l’hanno stimato: tra i primi a rendere omaggio a Scalfaro, oggi, il presidente del Senato, Renato Schifani, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il parlamentare pd Walter Veltroni. Romano Prodi ricorda «il suo richiamo etico alla Costituzione. Una Carta che ha difeso sempre non come fredda lista di norme giuridiche ma come patto tra italiani». Per Massimo D’Alema «c’è un certo mondo berlusconiano che lo ha indicato come avversario. Ma credo che Scalfaro sia stato sempre corretto nel suo ruolo istituzionale. A livello etico e politico, era agli antipodi rispetto al berlusconismo». C’è tanta Dc, in questa chiesa: il senatore a vita Emilio Colombo, l’ex segretario Arnaldo Forlani. Ovviamente, nella «sua» Sant’Egidio, non manca il ministro della Cooperazione, Andrea Riccardi. C’è quasi tutto il Pd, c’è il segretario Api Francesco Rutelli e quello della Cgil, Susanna Camusso. E poi, soprattutto, tante persone comuni: ascoltano rapite di quando Scalfaro, nel ricordo dell’arcivescovo di Terni, «obbedì al vescovo di Novara che gli chiese di scendere in politica perché la prima linea era lì». O come quando, giovanissimo parlamentare, assisteva agli «scontri mattutini» tra colleghi che poi «nel pomeriggio si trasformavano, accantonando gli scontri per dedicarsi alla stesura della Costituzione». Di sé, delle sue origini familiari, «napoletane, calabresi e piemontesi, Scalfaro amava dire “sono figlio dell’unità d’Italia”. È stato un grande italiano. Ha amato questa patria terrena con passione, tenacia, caparbietà sino all’ostinazione». Monsignor Paglia ricorda anche «il credente, aveva una fede scevra da ideologismi». Dopo una vita così, è bello pensare che Scalfaro non si riferisse solo a quel suo ultimo attimo di presente quando «alla figlia — spiega Paglia — che lo abbracciava in punto di morte, ha detto “sto bene”».
Quando la bara esce dalla chiesa, piazza Santa Maria in Trastevere è gremita. La gente applaude. Interpreta il sentimento del Paese, forse, ma non tutto: anche nel giorno del funerale, si registrano divisioni. Per fare solo pochi esempi: a Bologna, il Pdl esce dal consiglio comunale durante il minuto di raccoglimento in sua memoria. E il deputato Fabio Garagnani sorride soddisfatto: «Mi complimento». A Roma, Storace (La destra) esce dall’aula Giulio Cesare. E il presidente della commissione Cultura, Federico Mollicone, scrive su Twitter la seguente frase: «Io non ci sto…non ci sto…più». Poi rettifica, almeno in parte: «La frase è una rievocazione intima e personale di una cartolina satirica ideata in quegli anni». Sul web, sul forum dello «Spazio azzurro», anonimi scrivono che «Scalfaro è stato il peggior presidente». Se si escludono Gianni Letta, l’ex ministro Beppe Pisanu e il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che partecipano alla camera ardente, il Pdl è assente. Dice Pier Ferdinando Casini: «All’ipocrisia preferisco il silenzio». Monsignor Paglia ricorda le «apicali responsabilità che lo hanno visto in prima linea. Non è mio compito parlarne, altri lo faranno con maggiore competenza. E sarà la storia a trarre le conclusioni».
Il Corriere della Sera 31.01.12
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“Il saluto rispettoso della politica”, di Mariantonietta Colimberti
Ai funerali di Scalfaro tanti esponenti del Pd e nessun leader del Pdl. «Una giornata di grande luce per un uomo che credeva nella luce eterna », osserva un anziano e noto giornalista, che di Oscar Luigi Scalfaro non ha la fede religiosa, ma ne condivide appieno quella nella Costituzione e nelle istituzioni laiche della repubblica, mentre il feretro del presidente riceve l’omaggio di personaggi importanti e cittadini comuni. Molti i politici che arrivano nella chiesa di Sant’Egidio dove è stata allestita la camera ardente al mattino, prima dei funerali privati, officiati nella vicina basilica di Santa Maria in Trastevere da monsignor Paglia.
Tanti gli esponenti del Pd, il partito al quale Scalfaro aveva aderito da senatore a vita: il segretario Bersani e il vicesegretario Letta, i capigruppo di camera e senato, Franceschini e Finocchiaro, la presidente Bindi, il presidente della provincia di Roma Zingaretti, Veltroni, Fassino, Damiano. Ci sono gli ex presidenti del consiglio Dini, Prodi e D’Alema, protagonisti ognuno di fasi cruciali della nostra storia recente, ora così lontana. C’è il ministro Riccardi, di casa a Sant’Egidio, ci sono Rutelli, i sindacalisti Bonanni e Camusso, il capo della polizia Manganelli e quello del Sisde De Gennaro. C’è Renzo Arbore.
Non mancano personaggi di quella prima repubblica il cui disfacimento impose a Scalfaro l’assunzione di responsabilità fortissime e contrastate: Forlani, Colombo, Mancino. Rendono omaggio alla salma i presidenti di camera e senato, Fini e Schifani; sono presenti i colleghi giuristi Flick, Rodotà, Casavola, Capotosti, Palamara.
Nessun leader del Pdl, però c’è il sindaco di Roma, Alemanno, che già domenica aveva pronunciato parole di rammarico per polemiche «forse eccessive». E ci sono Pisanu e Gianni Letta, il primo ormai lanciato nella ricerca di compagnia cattolica e centrista, il secondo ora libero di compiere gesti autonomi.
Sull’assenza dei politici di destra taglia corto Casini: «Preferisco il silenzio all’ipocrisia». Forse anche Scalfaro avrebbe espresso la stessa preferenza. Sono gremite le tre navate della bellissima Santa Maria: persone mature soprattutto, ma si vedono anche molti giovani. Monsignor Paglia racconta di un uomo profondamente credente, «figlio di questo paese e insieme suo grande servitore. Sarà la storia a trarre le conclusioni, ma dobbiamo riconoscere che ha amato questo paese con passione, tenacia, caparbietà fino all’ostinazione». Ricorda passaggi importanti della vita del presidente, come quando «obbedì al vescovo di Novara che gli aveva chiesto di scendere in politica perché la prima linea era lì». Sul comodino – spiega Paglia – Scalfaro teneva il rosario, la Costituzione, la Bibbia, le fonti francescane; alla figlia Marianna, che gli era accanto negli ultimi momenti, aveva detto: «Sto bene».
«Quando l’altro giorno sono andato a trovarlo – racconta ancora il vescovo di Terni – era consapevole che la morte stava per arrivare. Ma la morte è arrivata dolce e senza traumi». All’uscita, un lungo applauso. Poi la partenza per Novara, città natale del «figlio dell’Italia unita», come Scalfaro si definiva, alludendo alle origini calabro-piemontesi della sua famiglia.
da Europa Quotidiano 31.01.12