Gran parte dei cittadini teme la caduta dell´esecutivo per paura di “tornare indietro”. Il centro-destra e il centro-sinistra soffrono entrambi di una crisi di rappresentanza
Viviamo strani tempi. Come, d´altronde, il governo Monti (secondo la definizione dello stesso premier). Tempi instabili e sussultori. Una settimana dopo l´altra, un giorno dopo l´altro: protestano tutti.
Tassisti e camionisti, avvocati e farmacisti, benzinai e giornalai, operai e notai. Protestano i Padani e i Forconi. Oltre ai No-Tav. Gli stessi “professori” – e gli studenti – non apprezzano il ridimensionamento dei titoli di studio – e delle lauree. Tutte, non solo quelle conseguite dagli “sfigati”, per usare l´eufemismo del viceministro Martone.
Non sorprende, quindi, che la maggioranza degli italiani sia d´accordo con le manifestazioni e gli scioperi contro i provvedimenti del governo e le liberalizzazioni. Oltre il 56%, secondo il sondaggio condotto da Demos (per Unipolis) nei giorni scorsi. Tuttavia, solo una frazione della popolazione (circa il 5%) afferma di avervi partecipato, mentre si dice disposta a parteciparvi una componente, comunque, molto limitata (13%). D´altra parte, in questo strano Paese, il governo ottiene un consenso largo quanto le proteste contro le sue politiche. Anzi, un po´ più ampio, visto che quasi il 58% degli italiani (intervistati da Demos per Unipolis) giudica positivamente l´azione del governo Monti (con un voto da 6 a 10). Non solo, ma le liberalizzazioni, nonostante le proteste, continuano ad essere apprezzate dalla maggioranza assoluta della popolazione (secondo l´IPSOS).
Le “ragioni” di atteggiamenti così contrastanti sono diverse ma, perlopiù, molto “ragionevoli”.
1. La prima richiama la profonda diversità delle categorie coinvolte dai provvedimenti, che, non a caso, sono valutate in modo differente dai cittadini (come hanno segnalato i sondaggi IPSOS). L´indulgenza verso la protesta dei camionisti e dei tassisti, in particolare, risulta molto superiore rispetto a quella espressa verso i notai, gli avvocati e i farmacisti. Perché si tratta di figure sociali ritenute “popolari”, che svolgono attività usuranti.
2. La seconda ragione è stata espressa, con chiarezza, dallo stesso Monti nei giorni scorsi, quando ha osservato che «per decenni si è coltivato e rispettato più l´interesse delle singole categorie che l´interesse generale». Anche se questo duplice sentimento attraversa tutti. Così, l´attenzione all´interesse generale ci fa apprezzare Monti e le politiche del governo, comprese le liberalizzazioni. Ma l´interesse di categoria ci spinge a reagire con insofferenza. Visto che tutti – o, almeno, molti – sono (siamo): tassisti, notai, avvocati, pensionati, avvocati, benzinai, commercianti, camionisti, professori, ecc. (Senza trascurare le differenze sociali, di reddito, posizione, fatica fra queste professioni.) Intendo dire che dentro di noi convivono e confliggono diversi interessi e diverse condizioni. Che dividono l´identità civica e quella di categoria.
3. Da ciò il dualismo di sentimenti che coabitano in noi. Da un lato, il consenso – di proporzioni larghe – verso Monti e verso il governo. Dall´altro, il peso, altrettanto esteso, del dissenso e delle proteste verso le politiche governative. Perché gran parte dei cittadini si rende conto che molte scelte di Monti sono obbligate e necessarie. Anche se criticabili e migliorabili. E gran parte dei cittadini, inoltre, teme la caduta del governo. Non solo per paura di “tornare indietro”. Al passato politico che incombe, come una minaccia. Ma perché si rischierebbero la ripresa delle guerre politiche e del conflitto sociale. Tuttavia, ciò non impedisce agli specifici interessi e alle specifiche rivendicazioni – sociali, economiche e locali – di emergere ed esprimersi. In modo talora acceso.
4. C´è, infine, una ragione più generale. Meno evidente e meno evocata, nel dibattito pubblico. Ma forse la più pericolosa – a mio parere. Perché riguarda – e mette in discussione – la nostra stessa democrazia. Se oggi si assiste al proliferare di conflitti e di proteste puntiformi e senza soluzione è anche – soprattutto – perché tra la società, gli interessi e il governo – lo Stato – c´è il vuoto. Non c´è rappresentanza, ma neppure “composizione” e “aggregazione” delle domande e degli interessi. Un mestiere che spetta alle grandi organizzazioni economiche, ma, soprattutto e in primo luogo, ai partiti. I quali hanno “delegato” a Monti i compiti che essi non si sentono in grado di affrontare, anche – forse soprattutto – per timore delle conseguenze elettorali.
Un problema che lacera il centrodestra – particolarmente sensibile al richiamo degli interessi dei lavoratori autonomi e delle professioni. Ma che inquieta anche il centrosinistra, in difficoltà ad affrontare i temi della mobilità (del lavoro). Non è un caso che gli unici soggetti ad agire apertamente sulla scena politica, oggi, siano coloro che “moltiplicano” e amplificano le proteste di categoria, invece di ri-comporle. La Lega, in primo luogo. Ma anche l´IdV e Sel, per quanto in modo reticente.
Ne esce il quadro – in frantumi – di una “democrazia immediata” (per riprendere la definizione del marchese di Condorcet, nella Francia rivoluzionaria del Settecento). In duplice senso. A) Perché ogni domanda e ogni spinta sociale si rovescia “immediatamente” sulla scena pubblica. Visto che non solo i media tradizionali (per prima la Tv), ma Internet, i cellulari e i palmari, FB e Twitter danno visibilità e rilevanza “immediata” a ogni rivendicazione e a ogni protesta. Mentre ogni rivendicazione e ogni protesta può, comunque, produrre conseguenze pesanti a livello pubblico e sociale, quando sia in grado di interrompere la comunicazione e la mobilità – strade, autostrade, città, aerei, ferrovie. B) Ma questa democrazia appare, d´altronde, im-mediata, in quanto priva di “mediazioni” e di “mediazione”. Per il deficit di rappresentanza politica espresso dai partiti. Per la tendenza e la tentazione di affidare l´unica forma di mediazione ai “media”.
Questa democrazia im-mediata e iper-mediata (dai media), al tempo stesso, può, forse, piacere a coloro che celebrano l´antipolitica e auspicano la morte della politica, dei politici e dei partiti. Ma rischia di compromettere le sorti della democrazia rappresentativa.
da la Repubblica
1 Commento