Con la crisi del forzaleghismo la questione settentrionale ha cambiato di segno.
Ma esiste ancora la questione settentrionale? Sono successe troppe cose al Nord (e non solo) per non pensare che il tema più dibattuto degli ultimi vent’anni forse oggi è cambiato di segno. Il trionfo del centrosinistra a Milano, la fine del berlusconismo, la crisi interna alla Lega, il logoramento del potere formigoniano, lo stop alla riforma federalista. Tutti elementi che contribuiscono a ridefinire una questione che il Pd ha sempre vissuto come una ferita aperta.
«Al Nord non si tocca palla» era il tormentone che si sentiva ripetere dopo ogni tornata elettorale. È ancora così oppure il Nord è tornato contendibile? «Una questione è Milano e la Lombardia del Sud, un’altra la fascia pedemontana dove Pdl e Lega sono ancora molto forti» avverte Alessandro Alfieri, vicesegretario regionale del Pd che, insieme a Pippo Civati, ha radunato oggi [ieri, n.d.r.] a Varese politici ed esperti in un convegno dal titolo “Giù al Nord, tra secessione e recessione”, al quale prenderanno parte, tra gli altri, Sergio Chiamparino, Marco Stradiotto, Maurizio Martina, Giorgio Gori (neotesserato del Pd di Bergamo, al suo debutto politico dopo la Leopolda2 di Firenze) e il leghista “pentito” Alessandro Cé.
Nel Pd, va detto subito, non si dà tanto credito alle minacce di strappo di Bossi.
Alle amministrative, è opinione di tutti, il centrodestra si presenterà unito quasi ovunque. Ma certo il blocco sociale espresso dal forzaleghismo nordista negli ultimi vent’anni non è più così compatto, come hanno dimostrato anche le ultime elezioni amministrative. «Eppure la questione settentrionale è ancora tutta lì, irrisolta: – continua Alfieri – nel senso che i nostri imprenditori quando vanno all’estero pagano un prezzo più alto dei concorrenti in termini di servizi, infrastrutture, tasse. Non c’è dubbio che la fiducia di imprese e partite Iva nei loro partiti politici di riferimento tradizionali oggi è in crisi, la situazione è più fluida che in passato ma proprio per questo il Pd non deve abbassare la guardia». Per esempio sul federalismo cosa dovrebbe fare? «Non bloccare la riforma già avviata ma certo farle il tagliando, completandola con i costi standard e il codice delle autonomie. E sul patto di stabilità dobbiamo insistere perché certe spese per investimenti non vengano conteggiate».
«In passato troppe volte abbiamo dato per scontate cose che non lo erano» è l’opinione di Laura Puppato, capogruppo del Pd in Veneto, anche lei presente a Varese. «Come dimostra anche l’ultima ricerca della Fondazione Nordest oggi il cittadino veneto vive una frustrazione profonda: il cittadino veneto non si sente percepito dal resto d’Italia quale è, un lavoratore aperto al mondo e agli altri. Inoltre la recessione ha messo in crisi certezze profonde sul benessere e la ricchezza e incrinato la fiducia nello schieramento politico che ha guidato il Veneto in tutti questi anni». Nella funzione di rappresentanza a Roma degli interessi del Nord la Lega ha fallito ma attenti a cantare vittoria.
«Il federalismo è stato vissuto in questi anni come una difesa degli interessi del territorio rispetto all’inefficienza, la partitocrazia, il clientelismo romano, un modo per trattenere una parte della ricchezza là dove viene prodotta (il Nord rappresenta il 55 per cento del Pil nazionale, ndr). La Lega non ha portato a casa nulla e mi azzardo a dire che se il governo Monti non fallirà il Carroccio precipiterà al 5 per cento. Oggi il nostro compito non è di espropriare la Lega della bandiera federalista ma di riappropriarcene».
da www.europaquotidiano.it