«Voglio vedere il libro che tu hai sottratto, perché non volevi che altri lo leggesse, e che hai nascosto qui, proteggendolo in modo accorto, e che non hai distrutto perché un uomo come te non distrugge un libro, ma soltanto lo custodisce e provvede a che nessuno lo tocchi…».
Marco Colombo, il sindaco leghista di Sesto Calende, non sarà Jorge da Burgos; se è per questo, il libro da lui non distrutto ma sottratto, con l’ingegnoso meccanismo del prestito a rotazione tra i militanti, non è di Aristotele ma più modestamente della professoressa Lynda Dematteo. Però è significativo che, nella Padania di Umberto Bossi come nel Medioevo di Umberto Eco, ci sia qualcuno che vorrebbe impedire agli altri di leggere un libro; finendo per richiamare l’attenzione su un saggio — L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord (Feltrinelli) — sinora sfuggito ai più.
L’episodio, per quanto ovviamente da condannare, è rivelatore.
Fin dagli esordi, la Lega non si è mai sentita presa sul serio. Demonizzati o esorcizzati, i fondatori sono stati ora additati — dai media, dai politologi, dai dotti o sedicenti tali — come pericolo per la democrazia e l’unità nazionale, ora dileggiati come un branco di goliardi da bar. In realtà la Lega, oltre a condizionare per vent’anni la politica romana, ha espresso — sia pure in forme rozze e con un linguaggio a volte inaccettabile — un sentimento molto diffuso al Nord, non solo nell’elettorato leghista. Le tante piccole patrie sparse nella pianura Padana si sentono sottorappresentate nella cultura dominante. Non tanto in politica (oggi fatta da uomini nati ai piedi delle Alpi, dal varesino Monti al comasco Passera), quanto nell’immaginario, nella mentalità, nel gergo, nell’accento, nella televisione. I ragazzi padani usano le parole — pischello, sgallettata, buzzicona — imparate dai Cesaroni. Se si va a rivedere i kolossal americani degli anni Cinquanta, si nota che sono doppiati da voci padane; oggi il cinema parla romanesco o napoletano, e se c’è — per dire — un bergamasco o un piemontese è sempre una caricatura, se c’è un veneto è immancabilmente un «mona». Certo, i responsabili non sono sempre gli altri; non è una congiura del destino se il Veneto aveva Buzzati, Parise, Piovene, Meneghello, Comisso, Rigoni Stern e ora non li ha più; del resto, lo stesso Maroni per irridere il rivale Reguzzoni fa notare sprezzante che è nato a Busto Arsizio, come se nascere nella città dov’è sorta l’industria italiana fosse un segno di minorità.
Non c’è dubbio però che l’egemonia dell’Italia mediterranea sia ormai compiuta, pure all’interno della stessa Lega, il più mediterraneo dei partiti, in cui non vige il criterio anglosassone delle regole e del merito ma quello meridiano dell’amicizia e della fedeltà al capo (che da par suo ha festeggiato per tre volte una laurea in medicina che non ha mai preso). Ora vedremo quale destino avrà la sfida dei seguaci di Maroni, che si definiscono «barbari sognanti»: meravigliosa espressione con cui Scipio Slataper esprimeva il legame di sangue con il suo Carso, terra di confine con le immense pianure slave, e nello stesso tempo il rapporto con la patria dell’Umanesimo, l’Italia. A riprova che, a leggere i libri, si possono scoprire un sacco di cose; nasconderli, invece, non serve a niente, se non a dichiarare un complesso culturale.
dal Corriere della Sera del 29 gennaio 2012