Incontenibile slavina, alla caduta di Berlusconi è seguita la contestazione di Bossi. E dopo i fischi in piazza al leader leghista, è scoppiata la rivolta della rete contro le grossolane sparate di Grillo. Non corrono più tempi tranquilli per i capi che riducono la politica, da grande vicenda collettiva, a meschina faccenda privata, spesso coincidente con il loro capriccio.
Che il leader sia un rude capo territoriale o un comico che dimora nel virtuale spazio della rete, poco cambia: il re è ormai nudo e proprio dal suo pubblico di fedeli non trova più la scontata conferma della supremazia e quindi la reiterata disponibilità all’obbedienza.
In nome della rete celebrata come un luogo di libertà assoluta, in omaggio della partecipazione diretta attuata con scambi di mail, Grillo ha definito un inquietante processo politico di concentrazione assoluta del potere. Nel suo movimento personale, la potestà suprema risiede nel suo computer. Grazie a un centralismo computerizzato, il comico può decidere quello che vuole, può lanciare sfide a piacimento, può scagliare invettive alla cieca, può comminare scomuniche. Al movimento non resta che approvare la sortita imprevista o lanciare in rete timidi mormorii di disapprovazione o segnali più espliciti di scontento quando il comico l’ha combinata grossa. L’essenza del fenomeno è che il capo comico gestisce sempre lui i tempi, progetta come meglio crede le provocazioni pronte a rimbalzare dalla rete ai vecchi media.
Ammiccando il pubblico con una colorita fraseologia iperdemocratica, agitando un lessico infarcito di metafore orizzontali e spolverando i caldi miti di una costruzione sempre dal basso dell’agenda, Grillo ha in realtà allestito una macchina del tutto sregolata e leggera ma pur sempre impermeabile e poco trasparente. Con il miraggio della rete come veicolo della discussione infinita e della condivisione totale, il movimento si inaridisce nella vita quotidiana e approda nel meccani-
smo disarmante della assoluta delega in bianco alla persona. Il capo innalza così il proprio sbalzo d’umore a dottrina politica e chiude, nella sua imponderabile possibilità di deviare da un programma evanescente, una esperienza di politica che non garantisce apprendimento collettivo, che non dispone sanzioni verso scelte sbagliare, che non è in grado di imporre al capo sfuggente ed enigmatico degli impegni precisi, dei vincoli ravvicinati, degli atti politici gestiti con coerenza.
Sono evidenti, nel modello verticale e unidirezionale di conduzione del movimento, i tratti di una cultura populistica a sfondo autoritario che inneggia alla solitudine di un capo refrattario a convivere con regole, organi, mediazioni. L’immediatezza del capo populista, che si rapporta con il suo semplice corpo con il pubblico irrelato e sguarnito della fisicità dei luoghi di incontro, ha condotto stavolta Grillo a gettare la maschera. Il verbo ultrademocratico della rivolta contro la casta si colora delle tinte più accese della cultura politica reazionaria. Le parole insulse contro il diritto di cittadinanza a favore dei figli degli immigrati si spingono persino oltre le posizioni di una destra decente.
Nessun leader di destra in Europa si azzarderebbe a sostenere le ambizioni retrograde di Grillo. Il cancelliere Merkel ha sì annunciato il fallimento del multiculturalismo. Ma il suo governo non ha mai smesso di incoraggiare le politiche di integrazione e ha radunato in Parlamento 200 migranti per dire loro grazie in nome della Germania. Il presidente Sarkozy ha concesso ai migranti il diritto di voto amministrativo. Proprio su una materia che abbraccia i grandi principi etico-politici, Grillo assume invece le coordinate dei movimenti del populismo xenofobo (che esulta dinanzi alle cifre dei respingimenti e alle espulsioni collettive, agli accompagnamenti coattivi).
Il ricco comico ha un arido cuore di destra che pulsa non solo nella radicale venatura antipolitica del suo messaggio indirizzato contro la rappresentanza, ma anche nella profonda insensibilità culturale ed etica verso un tema, come quello della cittadinanza ai figli dei migranti, che abbraccia la dignità della persona umana. La retorica della rete aperta si chiude così nella cupa nostalgia dei solidi confini. Per Grillo si può navigare solo nella rete, non nel mondo reale dove non c’è posto per uno ius migrandi e tanto meno possono spalancarsi le porte dello status activae civitatis per i figli dell’errore. Per fortuna nella rete c’è ancora chi si indigna dinanzi a questa follia.
da L’Unità