Il dossier de L’Unità dedicato alle “dimenticate” liberalizzazioni di Prodi e Bersani, articoli di Bianca De Giovanni, Pietro Spataro e Marcella Ciarnelli.
“Dalle lenzuolate di Prodi e Bersani maggiori risparmi ai consumatori”, di Bianca De Giovanni – L’Unità
Non sappiamo se si tratti di innocenti amnesie, o di una studiata «damnatio memoriae». Sta di fatto che da quando il decreto liberalizzazioni è stato varato venerdì scorso, sui mass media si ripete lo stesso ritornello: finalmente l’Italia ha fatto cose mai viste prima. Qualche ministro (sottaciamo il nome) si attribuisce anche altisonanti primati: queste misure aspettavano da 20 anni.
Tutto bene, per carità. Meglio agire che restare fermi come Berlusconi. Male però che si racconti una storia «addomesticata». Dalle cosiddette lenzuolate del governo Prodi non è passato molto tempo: difficile che tutti le abbiano dimenticate. E altrettanto poco credibili appaiono questi inni, dopo un triennio di silenzio assordante su tutti i tentativi, spesso riusciti, di ammorbidire quelle norme.
Vale la pena abbozzare un confronto sull’impatto delle misure di allora, rispetto a quelle che ora affronteranno l’esame parlamentare. Tutti ricorderanno i costi di ricarica che i grandi gruppi telefonici imponevano ai clienti. Sono scomparsi con un tratto di penna, consentendo immediatamente un risparmio complessivo valutato in due miliardi di euro. Nessun rinvio a prossimi decreti. Tra le nuove norme si fa fatica a rintracciare una misura tanto vantaggiosa per i bilanci familiari. Da notare che durante la discussione sempre gli stessi giornali erano pieni di fosche previsioni (che non si sono avverate) sul conseguente taglio di posti di lavoro da parte delle compagnie telefoniche.
Sui farmaci non c’è partita: l’apertura di nuovi punti vendita per quelli da banco ha ottenuto il calo dei prezzi di circa il 18%. Prima di allora nel Lazio avevano invitato le farmacie a fare sconti, con risultati molto deludenti. E oggi sui farmaci di fascia C si fa retromarcia, e si rafforza il potere dei farmacisti.
Mentre il centrodestra accusava Bersani di prendersela con i poveri parrucchieri, le banche subivano un colpo durissimo: niente spese di chiusura conto, niente penali per la rinegoziazione dei mutui, niente ricorso al notaio per estinguere l’ipoteca. Nel solo 2008, con la crisi che fece schizzare le rate a livelli mai visti prima, sono stati 408mila i cittadini che hanno rimborsato il prestito evitando spese per la cancellazione dell’ipoteca. Sulla mobilità dei correntisti si è fatto un balzo in avanti che ha portato l’Italia ai primi posti in Europa, con il 13,1% che nel 2009 ha cambiato banca (dati Ue). In media sono 2 milioni i clienti che decidono di cambiare istituto, senza versare l’obolo di chiusura conto. Tutto questo è entrato in vigore immediatamente, portando vantaggi economici sostanziosi per le famiglie. Oggi le banche sono assenti dagli interventi. Che dire? Non si affronta neanche il tema delle commissioni per il pagamento via bancomat.
Interessante il confronto sulle assicurazioni. Quella è stata forse la partita più complicata (dopo quella – persa – sui taxi che sembrano vincere anche stavolta), ma ricca di proposte innovative. Come quella dell’agente plurimandatario. L’Ania ha lavorato di fino per lasciare la norma inattuata, tanto che oggi ci si presenta un’ipotesi più debole: cioè che sull’Rc auto si presentino almeno tre ipotesi di diverse compagnie. Peccato che la legge, per l’appunto, già c’era. Come già esiste la possibilità si sconti in caso di istallazione della scatola nera. Dei risarcimenti diretti, arrivati a circa 5 milioni, non si è saputo più nulla, a parte il fatto che Berlusconi ha accontentato le compagnie nel ridimensionarli. Sempre durante il governo Prodi entrò in vigore anche la possibilità per i titolari di vecchie e onerose polizze di cambiare compagnia. E infine, quella di comparare le offerte on-line. Tutto questo è stato sostanzialmente «oscurato».
Oggi invece si spaccia come risultato rivoluzionario quello sulle polizze legate ai mutui: la banca dovrà presentare almeno due ipotesi. Ebbene, finora la sottoscrizione della polizza non era obbligatoria: con quella disposizione la si legalizza. Tanto per far spendere di più i cittadini.
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“Grandi giornali, poca memoria”, di Pietro Spataro – L’Unità
Fare di tutta l’erba un fascio è il lavoro preferito di alcuni giornali. In questa attività di demolizione di tutta la politica (la buona e la cattiva) non vanno per il sottile e devono rimuovere pezzi di memoria. Prendete Repubblica. Nella foga, legittima, di osannare le liberalizzazioni di Monti (che anche noi, a scanso di equivoci, abbiamo giudicato positive pur senza negare lacune e omissioni) si spinge a parlarne come di un primo fatto epocale. Ha detto il direttore Ezio Mauro a Che tempo che fa: tutti quelli che oggi dicono che si poteva fare di più dovrebbero chiedersi perché tutto ciò nel nostro Paese non è mai stato fatto. Ha scritto Massimo Giannini: «Per la prima volta, ormai da molti anni, un governo ha l’ambizione di proporre una prima riforma di sistema».
Se si cambia giornale e ci si sposta a via Solferino la musica non cambia. Sul Corriere di sabato, mentre nell’editoriale si scrive con enfasi che «mai l’albero era stato scosso così» sempre in prima pagina Antonio Polito ritiene il decreto del governo «il primo tentativo organico» e chiede polemicamente a Berlusconi e Bersani (insieme, ovviamente) «perché più e meglio non sia stato fatto in questi quindici anni».
Come i cittadini-consumatori sanno, nel 2006 il governo guidato da Romano Prodi approvò un consistente pacchetto di liberalizzazioni poi passato alla cronaca come le lenzuolate di Bersani. Ora, non vogliamo assolutamente ricordare quel che scrisse allora l’Unità perché siamo in evidente conflitto di interessi. Ci limitiamo a ricordare quel che gli stessi due giornali scrissero in quei giorni. Repubblica, come si vede nella foto qui sopra, titolò a tutta pagina sulla «rivoluzione di Prodi».
Massimo Riva nell’editoriale scriveva: «A sessant’anni dalla caduta del regime fascista l’Italia sta cominciando a muovere i primi passi nel disboscare le sacche di resistenza dell’economia corporativa».
Aggiungeva Giuseppe Turani: finalmente una cosa di sinistra. E sul Corriere, oltre a Monti di cui parliamo qui accanto, persino Francesco Giavazzi, mai tenero con il centrosinistra, ci spiegò che quelle misure erano «significative» e che «finalmente si ha il coraggio di non sottomettersi alla pressione delle lobby e finora nessuno c’era riuscito».
Dopo quasi sei anni torna la prima volta. È evidente che Repubblica vuole dimostrare che i tecnici alla fine sono meglio dei politici e che il centrosinistra non combina mai niente di buono. Ed è evidente anche che il Corriere vuole cavalcare una certa onda antipolitica che è in attesa di qualche altro salvatore della Patria. Basta saperlo e regolarsi di conseguenza. Ma si abbia, non diciamo la coerenza, ma almeno la pazienza di cliccare sull’archivio storico dei propri giornali, digitare le parole concorrenza e liberalizzazioni e vedere quel che risponde il computer. Che, non avendo tesi da dimostrare, non scorda mai niente.
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“L’opinionista Monti scriveva: si può aprire una nuova era”, di Marcella Ciarnelli – L’Unità
L’Italia è un Paese in cui cambiare è stata sempre operazione complessa e, troppo spesso, lo si è fatto per non cambiare. Il Gattopardo insegna. Ma è anche vero che l’Italia è un Paese in cui la memoria corta porta a sorprendersi ogni volta che qualcuno si mette all’opera per cambiare. Anche perché, e di recente è capitato, è bastato cancellare le norme perché venissero dimenticate. Spazzate via d’un colpo dalla storia economica e politica. Come se nessuno ci avesse mai pensato.
Tutto questo per dire che le liberalizzazioni non sono materia mai affrontata fin qui e che forse è eccessivo, come pure ha detto il ministro Passera, che «in appena due mesi è stato fatto quanto non era mai stato fatto in quasi due decenni».
E l’Italia sarà anche il «Paese delle corporazioni» ma, solo pochi anni fa, si era trovata a misurarsi con una “lenzuolata” che molti degli argomenti affrontati dal governo in questi giorni li aveva posti e risolti. Anche altri di effetto immediato. E tutto meno di sei anni fa.
Il cosiddetto “pacchetto Bersani” spaziava dalle comunicazione ai mutui per la casa alle assicurazioni, dalle tariffe aeree a quelle delle Poste, dalle facilitazioni per la nascita delle imprese alla vendita libera dei giornali, dai conti correnti all’apertura alla concorrenza nei trasporti regionali. Dai farmaci ai taxi.
L’iniziativa del governo di Romano Prodi si meritò l’attenzione di Mario Monti, allora impegnato in Europa, che in un fondo sul Corriere della Sera, nel luglio del 2006 invitò ad «alzare la posta». Il quesito che poneva il presidente del Consiglio era di prospettiva. Le liberalizzazioni approvate dal governo dell’altro Professore che ha governato l’Italia di recente «sono provvedimenti importanti ma isolati o segnano l’inizio di una politica nuova per l’Italia che metta in primo piano l’interesse dei cittadini-consumatori?».
Una domanda retorica, fatta aspettandosi una risposta diversa rispetto alla tradizione. Scriveva Monti: «Quei provvedimenti creano l’aspettativa che si tratti di una politica economica orientata ai consumatori, nella consapevolezza che l’apertura dei mercati alla concorrenza è anche il modo più efficace per avere un sistema produttivo efficiente e competitivo». Che, però, ricordava che un approccio di tal genere era «antitetico alla tradizione di gran parte delle forze politiche italiane, portate a dare più dignità e tutela ai diversi modi in cui i cittadini partecipano al processo produttivo (le piccole e le grandi corporazioni) che al loro essere cittadini-consumatori. Questa modificazione genetica nella quale il governo sembra impegnato deve essere accompagnata con speranza e valutata con attenzione, alla luce di quella bussola, l’interesse dei consumatori, che il governo ha fatto propria».
L’invito di Monti, ancora distante dalla poltrona di Palazzo Chigi, fatto all’esecutivo era stato di «alzare la posta in gioco» estendendo l’ambito delle liberalizzazioni e non temendone il rischio. Chissà se il professore in questi giorni si è ricordato di quanto scrisse allora: «Il governo ha dato l’impressione di sfidare i tassisti e qualche altra categoria. In realtà ha sfidato se stesso. Ha sfidato la cultura che ha caratterizzato per lungo tempo molte componenti della sua maggioranza. Speriamo che vinca».
da www.partitodemocratico.it