Ho viaggiato una volta su una nave della Costa e, a parte gli inconvenienti dovuti all’eccessivo e chiassoso affollamento, non ho avuto di che lamentarmi del personale di bordo, delle varie prestazioni offerte dalla crociera. Non ho assistito alla pratica dell’«inchino», l’abitudine cioè di avvicinarsi alle coste per salutare qualcuno o rendergli omaggio. Forse quel comandante non amava simili esibizioni, forse non erano consentite nei luoghi del Mediterraneo orientale toccati dalla navigazione. Sicché la tragedia della «Concordia» mi trova, a questo riguardo, impreparato e sgomento. Tanto più quando apprendo che la stessa nave aveva già effettuato nel corso degli anni 52 «inchini». Una notizia che rende ben più pesanti, ed estensibili, le accuse rivolte allo sciagurato Schettino.
C’è da chiedersi perché, a partire dalla Compagnia, nessuno intervenisse a scongiurare un comportamento così pericoloso e, in varie situazioni, chiaramente dissennato. Lo dimostra a usura l’infortunio del comandante Schettino, così vicino all’isola che, ad onta della sua abilità, si è avveduto solo all’ultimo momento, per «la schiuma sull’acqua», dello schianto imminente contro uno scoglio. E vengono i brividi quando Palombo, l’asserito maestro di Schettino, esalta in un libro le sue ripetute manovre rasocosta, definite rischiosi ma «bellissimi passaggi».
Mentre incombono i fantasmi delle vittime e l’incubo di una catastrofe ambientale, vien da riflettere sulle manifestazioni di un radicato costume italiota. A parte le gratificazioni riservate ai turisti e pagate nell’occasione a caro prezzo, c’è un comandante che inverte la rotta per cedere al richiamo «familistico» o paesano della terraferma. C’è l’«inchinarsi» all’oltranza di una festa segnata da luminarie e sirene spiegate. E la spavalderia che induce a strafare, ad abusare delle proprie risorse, di un malinteso estro «creativo».
Occorreva l’incredibile naufragio davanti all’Isola del Giglio per risvegliarsi dal sonno della ragione e dell’irresponsabilità? Il ministro dell’Ambiente ha promesso il varo sollecito di una legge sulle rotte a rischio che tenga a distanza i grattacieli galleggianti, che metta al riparo, insieme alle vite umane, i parchi naturali e le bellezze insostituibili del nostro Paese. In primo luogo Venezia, finora impunemente minacciata, e miracolosamente risparmiata, dal traffico osceno. Non c’è profitto di sorta, non le titillate emozioni di turisti inconsapevoli che possano giustificare così gravi rischi. Occorre una scossa, ed è doloroso che venga richiesta, imposta, dai passeggeri imprigionati nel ventre della «Concordia».
da La Stampa del 22 gennaio 2012