Ha provocato un vespaio il semplice accenno del sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria all’eventualità di riforma del ciclo d’istruzione, cioè la proposta di diminuirlo di un anno. Attualmente è di 13 anni : i ragazzi rimangono 5 anni alle elementari, cioè la scuola primaria, 3 anni alla scuola media, cioè secondaria di primo grado, 5 anni alle superiori, secondaria di secondo grado. La proposta è di ridurlo di un anno agendo alle medie o alle superiori. Come del resto già avviene in tanti paesi europei, dalla Francia alla Germania, dove la scuola dura meno eppure i profitti dei ragazzi, come testimoniano ricerche nazionali e internazionali, sono di gran lunga preferibili a quelli italiani, per cui la minore durata del ciclo non inficia i livelli cognitivi di quei ragazzi che vengono immessi nel mondo del lavoro o in quello universitario con un anno di vantaggio. La proposta è accompagnata dall’ipotesi di innalzamento dell’obbligo scolastico : dagli attuali 15 anni (prima della Gelmini era di 16 anni: è stato diminuito a 15) ai 18.
Le ragioni del no:
– Si toglie ai ragazzi un anno di istruzione? Non è possibile. Non va nel verso della qualità dell’istruzione tanto invocata in questi ultimi anni di “persecuzione gelminiana” – E conseguentemente si taglia l’organico necessario ad effettuarlo con conseguente perdita di posti di lavoro? Assolutamente no.
– I ragazzi che non abbandonano più la scuola, causa obbligo scolastico, che fanno? Vanno ad aumentare il rapporto docente alunno perpetrando il fenomeno deleterio delle classi pollaio? E dunque aumentando il caos attuale invece di risolverlo?
Le ragioni del sì:
– Allinearsi ai coetanei europei che anticipano di un anno laurea o lavoro è una richiesta che arriva dal mondo spesso inascoltato dei ragazzi – Aumentare l’obbligo scolastico vuol dire “obbligarli” al diploma. Tutti. Non solo i “fortunati”. Oggi la dispersione è massima proprio in coincidenza del raggiungimento dell’età dell’obbligo cioè 15 anni, cioè dal primo al secondo anno delle superiori. Gli abbandoni riguardano soprattutto istituti tecnici o professionali, spesso “settati” in bienni e trienni proprio in virtù degli abbandoni, con conseguente divisione in istruzione di serie A , quella liceale, e formazione di serie B, (tanto la maggior parte poi abbandonano) quella tecnico-professionale. Obbligare tutti al diploma livella le distanze, le differenze di qualità dell’istruzione, non solo tra diplomati e non diplomati, ma anche tra licei e istituti tecnico-professionali. Perché un operaio specializzato, un cuoco, un informatico… non deve avere una ottima istruzione, anche nelle competenze e conoscenze generali, se il fine della scuola non è creare forza lavoro ma favorire “l’effettivo sviluppo della persona umana” e crescere i cittadini?
– Favorire per una volta i più deboli nell’ottica del dare di più a chi ha di meno di Donmilaniana memoria, direi attuale. Nelle aree depresse del paese, meridione e periferie delle metropoli, la dispersione raggiunge il 27% (e si concentra negli istitui tecnico-professionali di cui sopra). Non è possibile. Si deve combattere per motivi etici prima che economico-sociali. L’obbligo scolastico ha avuto il compito di abbattere la dispersione alle elementari e alle medie, così sarebbe alle superiori.
– Innalzando l’obbligo aumenterebbero di conseguenza gli alunni a scuola e dunque la necessità di organici e dunque, con facili calcoli, ne deriva che i due provvedimenti presi insieme non varierebbero l’attuale “parco” organico.
Però.
C’è un però of course: i due provvedimenti non sono la panacea, ma la premessa per “lavorare bene” in una scuola. Insieme a questi sono necessari, indispensabili altri provvedimenti che devono camminare insieme ai primi due di cui sopra e che comunque, a onor del vero, sono stati annunciati dal ministro Profumo (sottolineo “annunciati “per esercizio di diffidenza, che non è “cattiveria” ma la normalità a cui ci hanno abituato anni e anni e anni di attacchi alla scuola e depauperamenti).
Ne elenco i più urgenti:
– la messa in sicurezza delle scuole e la costruzione di nuove nel verso della sostenibilità e dell’innovazione (e questo sì, lo ha detto). Ciò va nel verso della tutela della sicurezza ma anche nel verso della promozione dello studio. Si sta meglio a scuola se ci si sta bene.
– la necessità degli organici funzionali in ogni scuola. Lo spiego a chi è a digiuno di “cose scolastiche”. Oggi il numero di docenti, personale ata lo “decide” l’ufficio scolastico provinciale in base a calcoli e disponibilità economiche e di organico, e sono sempre sottodimensionati, cosa che abbiamo lamentato. Quando manca un docente è la scuola a doverlo richiedere e pagare in base a una somma assegnata che negli anni si è ridotta al lumicino. E dunque classi numerose e quasi impossibilità di sostituzione di docenti assenti. L’organico funzionale discende dall’autonomia scolastica: ogni scuola si autodetermina il numero necessario di docenti (da prendere sempre in modo legittimo dalle graduatorie statali) in base alla sua offerta formativa e dunque non solo lo stretto necessario per la “lezione curriculare”, ma anche quello per le supplenze, come anche per attività a corredo delle lezioni curriculari ma che contribuiscono notevolmente ad innalzare i livelli cognitivi e non solo (teatro, sport, cinema, giardinaggio…). Aumentano l’amore per la scuola oltre che l’educazione alla socialità sana. E di conseguenza per lo studio. Oltre che trattenere a scuola i ragazzi per più ore al giorno. Oggi tali attività sono a “progetto” , in quel caso sarebbero programmabili nel lungo periodo e “istituzionalizzate”. Significa anche che serviranno più docenti. Molti di più. Rassegnatevi: non siamo molti. Siamo pochi in relazione alle necessità.
– “tenere” di più i ragazzi a scuola in senso verticale. Cioè aumentare o diffondere, là dove non c’è, persino alle superiori, il tempo pieno e il tempo prolungato.
– La formazione in servizio per i docenti: a carico dell’amministrazione e obbligatoria. Se la società cambia anche i ragazzi cambiano e anche i docenti. E’ elementare come concetto. Di conseguenza devono adeguarsi, con metodi e mezzi innovativi, che non intaccano i contenuti, i modi di trasmissione delle conoscenze e delle competenze. Non esaurendo o banalizzando la cosa con LIM e Tablets, ma praticando cooperative learning, teaching innovation, didattica sperimentale,…docimologia aggiornata..e altro ancora. Adeguare vuol dire migliorare la formazione in servizio dei docenti , cioè l’aggiornamento. Come accade per ogni professione del resto. Ma nella direzione della qualità e della necessità. Non dell’obbligo formale sganciato da ogni reale ricaduta, come spesso si è verificato negli ultimi anni.
Infine: abbandonare l’idea che tutto ciò si fa senza investimenti. Dimenticarla. Cancellarla. Investire nella scuola vuol dire spendere dei soldi. Investirli nel capitale umano. Lo diciamo da sempre. Servono spazi adeguati e mezzi adeguati. Se serve il macchinario adeguato per la TAC a un oncologo o il software di rendering aggiornato a un architetto mi chiedo perchè ciò non debba valere per l’insegnamento. Posto che abbiamo a che fare con la “materia” più mutevole che esista. Cioè il capitale umano ragazzo in crescita.
Ma il capitale umano della scuola non è solo il ragazzo, è anche l’esercito di pace dei docenti italiani. Io sono disposta a rimanere di più a scuola, tanto lo facciamo già, ma è giusto essere pagati per quello che si fa. E’ giusto dare dignità al lavoro, perchè così facendo ne aumenta in dignità lo studio dei nostri ragazzi. Ho usato la parola dignità e non valore non a caso. La dignità del ruolo la sì difende anche attraverso un trattamento economico meno umiliante.
Meno soldi alle armi e di più alla scuola noi lo ripetiamo da decenni. Oggi per fortuna lo dicono in molti di più. Ma diciamolo non solo perché c’è la crisi. Non solo per fare retorica. Ma perché è frutto di elementare buon senso nello stabilire le priorità tra ciò che è urgente e utile e ciò che non serve ed è inutile. A voi la scelta. A noi la scelta. Un anno in meno? Può essere…
L’Unità 15.01.12