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"Il codice della natura", di Michele Serra

La mole immane della Costa Concordia coricata a ridosso del Giglio, quasi appoggiata all´isola in un estremo tentativo di sostenersi, è una delle immagini più impressionanti degli ultimi tempi. È come se solamente il naufragio, e l´adagiarsi in mare, restituisse a quel palazzo galleggiante la sua natura di nave. Una nave, come tutte le navi, sospesa sul mare.È un mare domestico, quello smagliante di luce dell´arcipelago toscano. Un mare prossimo, che a noi italiani dà un´idea rassicurante e conosciuta, niente affatto esotica, per nulla disorientante. Ma è pur sempre mare: e dunque natura, non solo tecnologia; e caos, non solo economia. Le megastrutture che solcano i sette mari dando ai loro abitanti l´impressione (fallace) di annullare il moto ondoso e il clima, e a qualunque latitudine e longitudine replicano l´orgogliosa sicurezza dell´uomo che ha domato per sempre gli elementi, sono esposte anch´esse – come tutto, come tutti – alla potenza della natura, all´arbitrio del caso e soprattutto agli errori dell´uomo.
Quello del Giglio è un disvelamento tragico: costa morti, dispersi, panico, polemiche, strascichi legali. Ma può avere una sua utilità, perfino una sua severa moralità, se aiuta a capire che la convivenza tra uomini e natura rimane pur sempre soggetta a regole, e avvenimenti, non tutti pacifici, non tutti compresi nel prezzo del biglietto. Basta uno scoglio quasi affiorante, a un miglio appena da un´isola, a squarciare uno scafo costruito da macchine formidabili e da operai sapienti, e progettato da un´orchestra di computer. Basta una distrazione o una sciatteria o un azzardo malcalcolato a portare una città semovente (cinquemila persone!) esattamente sopra quello scoglio e fuori dalla sua rotta, sprofondando nella sciagura e nell´ansia chi era partito per ballare, mangiare e giocare: e in un batter d´occhio si passa dalla luce eterna della crociera al buio invernale, da un dentro ospitale e allegro a un fuori gelido e nero come è il mare d´inverno.
Molto si vocifera, e forse si sa, delle colpe del comandante della nave, che è in stato di fermo con accuse molto gravi; dell´impreparazione dell´equipaggio; del caotico e sregolato sovrapporsi dei soccorritori, forse non sorretti da un coordinamento impeccabile. Ma in attesa di fare i doverosi conti con le responsabilità, le omissioni, perfino le viltà (che in mare sono terribili colpe), quello che vediamo è lo spietato ribaltamento di migliaia di tonnellate di acciaio (pare che la Concordia sia la più grande nave affondata di ogni tempo, e di ogni mare), saloni immensi che perdono l´asse fino a trovarsi con le pareti mutate in pavimento, scialuppe che cozzano l´una con l´altra come birilli, persone sparite da cercare forse nelle cabine sommerse, come nei film catastrofisti e nelle memorie delle grandi tragedie di mare, il Titanic, l´Andrea Doria, l´euforia del viaggio che muta in disperazione, gelo, morte.
I tribunali, i periti, le assicurazioni, le carte bollate: ci sarà tempo per tutto. E il dolore delle vittime e dei loro parenti, appena leggibile nelle interviste concitate, nelle dichiarazioni furenti. Ma prima e dopo tutto questo, al di sopra e al di sotto, le grandi tragedie dei trasporti (di terra, di mare, d´aria) ci ricordano che la grandezza della tecnologia non appaia ancora, e forse non appaierà mai, la grandezza della natura, che va dalla potenza deiforme degli uragani, delle eruzioni, dei terremoti, alla minuta ferocia di uno scoglio invisibile, e alla ancor più minuta imprevedibilità degli errori e delle colpe degli esseri umani.
Proprio in questi giorni, in queste ore, va in onda sulla tivù satellitare un documentario sulla catastrofe (dimenticata) del Concorde, il supersonico francese che nel luglio del 2000, per un dettaglio quasi assurdo – un frammento metallico perduto da un altro aereo di linea, e dimenticato sulla pista – prese fuoco durante il decollo, e precipitò su un albergo. L´eccellenza tecnologica aiuta a diminuire i pericoli, ad accorciare le distanze, ad alleviare i disagi. Non a cancellare i rischi, non a sfrattare l´errore dal novero delle facoltà umane. La quasi omonimia tra l´aereo Concorde e la nave Concordia è ovviamente casuale, e però suggestiva. Li apparenta un destino da fenomeni tecnologici, da meraviglie della cantieristica, poi affossati da una fine cruenta. L´orgoglio umano è legittimo, se si pensa che da Icaro si è passati al volo supersonico e dalle piroghe alle odierne navi da crociera. Ma capita che l´orgoglio accechi, e qualora lo avessimo dimenticato basta uno scoglio a ricordarcelo.

La Repubblica 15.01.12