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"Perché Alemanno non sfila con i cinesi", di Mariantonietta Colimberti

La Capitale ricorda la morte di Zhou e Joy ma il suo sindaco non c’è. L’orrore condiviso della città per le morti di Zhou Zheng e della piccola Joy non ha prodotto il miracolo di rompere la separatezza di un mondo chiuso. E il sindaco della metropoli non ha ritenuto di compiere il passo che avrebbe potuto strapparlo, almeno per un attimo, alla misera contabilità delle convenienze apparenti e al piccolo cabotaggio di una navigazione senza visione.
Gianni Alemanno ieri non era in nessuno dei due cortei organizzati dalla comunità cinese di Roma, poi unificatisi in uno solo per raggiungere largo Perestrello, vicino al luogo del delitto del 4 gennaio sera.
Di ritorno dalle vacanze in Patagonia, giovedì scorso, il sindaco aveva tuonato: «La pazienza di Roma e dei romani è finita» (un manifesto del Pdl dello stesso tenore è comparso sui muri della città), chiedendo, come suo costume di fronte ai drammi o ai problemi, l’intervento del governo. Nei giorni successivi, recuperata una veste di responsabilità istituzionale, si era recato con la moglie a rendere omaggio alle vittime sul luogo dall’agguato, incontrando poi i rappresentanti della comunità cinese e l’ambasciatore Ding Wei. Niente presenza al corteo, però. «La manifestazione – ha mandato a dire – è delle comunità immigrate e tale deve rimanere. Saremo presenti il giorno del capodanno cinese».
Idiosincrasia del sindaco per i cortei, che qualche mese fa voleva addirittura proibire o gravare di una tassa? Possibile, anche se il 15 settembre scorso Alemanno scese in piazza per protestare contro i tagli ai trasferimenti contenuti nella manovra finanziaria del governo Berlusconi. E alcuni mesi prima, di fronte all’ipotesi di introdurre il pedaggio sul grande raccordo anulare, aveva minacciato di «sfondarlo con la macchina».
No, la ragione dell’assenza di Alemanno dal corteo dei cinesi va probabilmente ricercata in quella diffidenza diffusa nella capitale nei confronti di una comunità chiusa, che ha regole tutte sue alle quali uniforma il proprio lavoro e le proprie attività. Lo stesso quadro descritto sui media dopo l’assassinio, le notizie circa le modalità di trasferimento di denaro in patria, hanno forse impedito che la solidarietà sincera e condivisa scattata nella cittadinanza non si trasformasse in una partecipazione corale attiva.
Ieri a sfilare erano soprattutto cinesi, anche se non mancavano rappresentanti di associazioni, sindacati, altre comunità e partiti (per il Pd c’erano Livia Turco, il coordinatore del forum immigrazione Marco Pacciotti e Khalid Chaouki, responsabile nuovi italiani).
Nella Chinatown romana, in piazza Vittorio e nelle strade limitrofe, le saracinesche dei negozi erano abbassate ma non tutti i romani in circolazione sapevano della manifestazione e alle finestre dei palazzi umbertini erano affacciati pochi anziani. Niente di paragonabile alla risposta di Firenze dopo la strage dei senegalesi.
Al posto del sindaco a sfilare ieri c’era il delegato alla sicurezza, Giorgio Ciardi. A Torpignattara, a chiudere il corteo, Renata Polverini.
Alemanno ha annunciato che il giorno delle esequie (forse domani) sarà proclamato il lutto cittadino e che una strada potrebbe essere intitolata alle vittime. Intanto, ha continuato a dare interpretazioni oscillanti sulla situazione della sicurezza a Roma: dopo aver lanciato l’allarme criminalità, ieri ha detto alla Adnkronos che Roma «ha meno delitti e meno reati da tutti i punti di vista» e quindi la candidatura alle Olimpiadi del 2020 non è a rischio.
Proprio ieri, uno studio della Confesercenti ha invece denunciato la capitale come maglia nera per l’usura e città «più violenta di Catania, Palermo, Napoli o Reggio Calabria».

da Europa Quotidiano 11.01.12