A quanto pare la riforma dell´immigrazione non farà parte della fase 2 del governo. Eppure sarebbe una riforma in grado di aumentare il potenziale di crescita della nostra economia e capace di tagliare sprechi di denaro pubblico. Il momento politico, con la Lega all´opposizione, sembra propizio per interventi mirati, pragmatici, che taglino molta burocrazia inutile migliorando l´utilizzo di capitale umano già presente nel nostro Paese. e attraendo cervelli e manodopera qualificata. Il fatto stesso di trattare di immigrazione nell´ambito di un pacchetto per la crescita segnerebbe una svolta importante per il Paese. Sarebbe il segnale di un cambiamento di prospettiva, un rovesciamento dell´atteggiamento politico e culturale sin qui prevalente, che ha visto nell´immigrazione solo gli sbarchi di clandestini a Lampedusa e i danni legati alla criminalità. L´immigrazione, se ben gestita, può aiutarci a tornare a crescere e contribuire a farci superare la crisi del debito.
Il governo Monti si è sin qui occupato di immigrazione solo con riferimento alla tassa introdotta nell´ottobre scorso da Tremonti a carico degli immigrati che chiedono il rinnovo del loro permesso di soggiorno. Si tratta di un contributo elevato in rapporto a quanto richiesto in altri Paesi per pratiche di questo tipo, che si aggiunge ai costi già sostenuti dagli immigrati per ottenere il permesso in formato elettronico, all´imposta di bollo e a quanto versato a Poste italiane per inoltrare la richiesta. In totale si arriva a 272 euro nel caso dei permessi per i soggiornanti di lungo periodo, quando il reddito medio mensile degli immigrati in attesa di regolarizzare il permesso di soggiorno e che trovano lavoro in Italia è di circa 700 euro. Hanno fatto bene perciò i ministri Cancellieri e Riccardi a rivedere la norma, introducendo una serie di esenzioni per gli immigrati con basso reddito.
È giusto chiedere agli immigrati di contribuire ai costi amministrativi legati alla regolarizzazione della loro posizione e a un percorso di formazione e integrazione che li porti all´acquisizione della cittadinanza italiana. Ma la norma prevede che solo il 15 per cento delle somme riscosse col contributo sia destinata a coprire le spese amministrative per il rinnovo del permesso. Tutto il resto del gettito serve a finanziare (per il 50%) le spese di espulsione degli immigrati irregolari, le spese per la sicurezza e l´ordine pubblico (20%) e gli esami che serviranno per decidere sulla revoca del permesso di soggiorno e l´espulsione dello straniero nell´ambito del cosiddetto “accordo di integrazione” (15%). In altre parole, la legge chiede all´immigrato che vuole regolarizzare la propria posizione di coprire i costi legati a norme volte solo a rendere più difficile la permanenza degli immigrati nel nostro Paese.
Il nostro Paese sta già chiedendo un contributo fiscale molto rilevante agli immigrati, anche senza contare questo ennesimo balzello lasciatoci in eredità da Giulio Tremonti. La pressione fiscale ha da noi raggiunto quasi il 50 per cento, portando via metà del reddito generato da tutti coloro che operano in Italia, immigrati compresi. Potrebbero decidere di andare a lavorare altrove, privando di assistenza molti anziani non più autosufficienti e impedendo così ai loro famigliari di lavorare. Dovremmo, a fronte di tutto questo, impegnarci a favorire la progressione sociale e professionale degli immigrati che vogliono lavorare legalmente da noi. Non è solo una questione di equità. Ci servirà per tornare a crescere, utilizzando meglio il capitale umano che è già da noi e incentivando l´arrivo di immigrazione più qualificata.
Oggi questa progressione è bloccata dagli ostacoli imposti dalla legge Bossi-Fini all´immigrato che vuole cambiare lavoro per aumentare il proprio reddito, dalla difficoltà di ottenere il riconoscimento dei titoli di studio e dei titoli professionali acquisiti all´estero e dall´impossibilità di accedere ai concorsi pubblici. Sono tutte norme che servono unicamente a proteggere i lavoratori italiani maggiormente istruiti dalla concorrenza degli immigrati. Queste norme impediscono, ad esempio, ai medici che vengono dall´estero di operare nel nostro Paese, nonostante l´invecchiamento della popolazione ci ponga di fronte a una crescente carenza di personale medico in molte specialità. Impediscono la progressione anche degli immigrati di seconda generazione, quelli su cui tipicamente si cementa l´integrazione delle minoranze nei Paesi di accoglienza.
Per incentivare i figli degli immigrati a integrarsi e a investire in istruzione, bisognerebbe invece premiarli concedendo loro il permesso di soggiorno di lungo periodo o addirittura la cittadinanza in caso di merito scolastico. Per attrarre talenti da noi bisognerebbe garantire a chi si iscrive a un dottorato in Italia di avere un visto per tutta la durata del proprio corso di studi invece di dover passare lunghe giornate in questura per farsi rinnovare un visto che spesso arriva quando è già scaduto. E poi, al termine del percorso di studio, bisognerebbe offrire agli stranieri che hanno avuto il dottorato in Italia un permesso di soggiorno che permetta loro di cercare (o di crearsi) un lavoro all´altezza delle proprie competenze. Il principio deve essere quello di coinvolgere le scuole e le università nella valutazione e nella selezione degli immigrati. Hanno tutti gli incentivi a scegliere bene i propri studenti. E sono in grado di compiere queste valutazioni molto meglio della burocrazia creata dalla Lega per i continui rinnovi dei permessi di soggiorno, per fornire corsi di educazione civica (di un giorno!) agli immigrati e per valutarne i progressi nell´apprendere la lingua e la cultura italiana.
La Repubblica 10.01.12