Non possiamo stare ancora per 18 mesi – se questo governa dura fino a fine legislatura – in situazione di apnea. E’ un lusso che non possiamo concederci, anche perché abbiamo alle spalle una stagione che ha ulteriormente allargato la demotivazione del mondo della scuola e quindi il suo stato di disorientamento e abbandono, pur in presenza di qualche elemento ordinamentale di segno innovatore, introdotto recentemente, che però non è riuscito a decollare. Soprattutto per incuria, incompetenza e incultura della cosa pubblica dei precedenti governi.
Mi hanno colpito, della lettera del 9 novembre scorso, che i vertici dell’UE hanno indirizzato al governo italiano (ancora “titanicamente” nelle mani di Berlusconi) sulle misure urgenti per la nostra economia, alcuni passaggi in cui si tendeva a mettere il dito sugli impegni mancati e la insipienza gestionale della cosa pubblica, che chiaramente costituivano atti di accusa verso una cultura politica – quella del nostro paese – arruffona e inaffidabile.
Questo si evince non tanto dai 39 punti di quella famosa lettera, quanto piuttosto dalla premessa metodologica (General question) nella quale si invita il nostro governo a indicare “per ciascuna misura o impegno (… ) il grado di implementazione, nel caso l’impegno sia già stato posto in opera”; e, nel caso di un impegno nuovo, “a fornire un concreto piano operativo per la sua adozione e implementazione; compreso lo scadenzario e il tipo di strumenti giuridici che il governo intende utilizzare…”.
Come dire: meno annunci, meno impegni a parole e più attenzione alla traduzione operativa delle misure e alla realizzazione delle decisioni assunte. In altri termini, più competenza e responsabilità.
D’altra parte, se solo guardiamo al mondo della scuola, non possiamo costatare che il giudizio implicito che se ne può ricavare è proprio questo; basti considerare la fine che hanno fatto le misure di accompagnamento alla legge per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione o al riordino del secondo ciclo; per limitarmi a disposizioni normative che hanno più interessato gli istituti…che se ne sono accorti.
Perciò l’attuale stagione non può tollerare tempi sospesi – nell’attesa che la crisi economico-finanziaria si risolva – per cominciare a pensare al suo rinnovamento. E’ un ragionamento che non tiene da nessun punto di vista.
Il nuovo ministro sembra avvertito di ciò, come del fatto che non di altre norme c’è bisogno, quanto piuttosto di lavorare il più possibile sulle condizioni materiali del fare scuola. E, al riguardo, il pensiero va in primo luogo alla stabilizzazione del corpo docente e alla sua qualificazione, agli interventi sulle strutture edilizie e agli investimenti sulle tecnologie per l’innovazione didattica, al superamento delle ambiguità e nebulosità normative (leggi: certificazione delle competenze per l’anno terminale del primo ciclo e del primo biennio del secondo; cultura delle competenze chiave nella didattica e nella valutazione, con riferimento specifico alla gestione delle Linee guida degli Istitui riordinati), ad una diversa idea di ‘governance’, legata alla rendicontazione sociale, che ci faccia uscire finalmente dall’asfissia dell’autoreferenzialità.
Quest’ultima mi appare sempre di più una urgenza di prim’ordine per dare senso all’autonomia, responsabilizzare le scuole e attivare al loro interno leve importanti e riconosciute per darsi consistenza e smalto.
In relazione a questa tematica, è lecito sollecitare sia un bilancio dell’uso del Fondo di Istituto e delle risorse per le Funzioni strumentali che un loro ripensamento complessivo? E ciò nell’ottica di una “leadership diffusa” e di un “middle management “ – riconosciuti e adeguamente compensati -? Questa prospettiva, infatti, appare sempre più attuale, non solo a fronte dei nuovi parametri del dimensionamento e della domanda crescente di rendicontazione sociale; ma anche alla luce di percezioni diffuse che questi strumenti, che abbiamo voluto e “agito” come leve, non sempre hanno funzionato – e funzionano – per come li abbiamo pensati.
Ovviamente, l’obiettivo – sia detto per prevenire equivoci – è quello di una riqualificazione mirata della spesa pubblica e di un suo prevedibile incremento, dentro una diversa idea di crescita e sviluppo sociale ed economico del paese.
La questione però oggi centrale e urgente è: come rimettere in moto la macchina di una motivazione generalizzata almeno degli attori principali.
Ritengo perciò che quello di cui abbiamo soprattutto bisogno è di sentire che il Ministero è dalla nostra parte, che si preoccupa della scuola pubblica, che alle cose che dice ci crede e le fa e le cura, che dietro alle cose che decide c’è competenza e coinvolgimento.
Al nuovo Ministro non va ovviamente chiesta la luna; solo di fare quello che dice; e di fare quello che dice dimostrando attenzione e ascolto attivo al mondo della scuola. Che ha bisogno di fiducia e di parole chiare sulle sue direzioni di marcia e sul suo sviluppo. Poche priorità, ma, su quelle, che i messagi siano precisi e inequivoci e le condizioni di fattibilità altrettanto.
Nelle considerazioni precedenti ho voluto dare voce ad alcune priorità (a cui forse andrebbe aggiunto un intervento chiarificatore sull’identità da dare alla secondaria di primo ciclo e forse anche sulla natura dell’istruzione professionale, dentro la più generale istruzione tecnica) che, seppure in termini diversi, si leggono da più parti.
Quello che si vorrebbe tornare ad avvertire è che la scuola sia vissuta nel paese come “cosa pubblica”, un bene per tutti e una “risorsa” (passatemi il termine abusato) per la collettività, a tutti i livelli.
Ma anche che i vari attori in essa coinvolti (dai docenti agli enti locali, alle direzioni scolastiche territoriali) sviluppino maggiore consapevolezza che, nella partita del rinnovamento, ognuno deve fare la sua parte, evitando di piangersi addosso, come spesso ci accade (non parlo ovviamente dei precari), e mettere a fuoco le specifiche responsabilità di ciascuno.
Certamente sindacato e associazionismo, enti locali e reti di scuola sono gli attori più importanti in questo processo. Penso che anche i Dirigenti Scolastici (DS), attraverso le loro organizzazioni di riferimento, sono chiamati ad un ruolo propositivo e attivo di primo piano dentro le scuole e nei territori.
Sappiamo però che, nell’attuale situazione di reggenze diffuse – e conseguenti difficoltà di gestione e disorientamento – un tale ruolo appare piuttosto difficile. Si spera, al riguardo, che il concorso in atto per futuri DS si concluda in tempi tali da permettere la copertura di tutte le dirigenze vacanti, a partire dal prossimo anno scolastico.E che, nel frattempo, i problemi sul dimensionamento – da assumere come un tutt’uno con le questioni dell’autogoverno delle scuole e della “governance” territoriale –abbiano trovato risposte non dettate da logiche ragionieristiche di corto respiro.
da ScuolaOggi 05.01.12