Dire il vero: sulla gravità della crisi italiana, sulla nostra seconda cosa pubblica che è l´Europa, sui sacrifici, sul guastarsi dei partiti. Sembra essere una delle principali ambizioni di Monti, da quando è Presidente del Consiglio. Basta questo, per smentire chi decreta – con l´aria di saperla lunga – che il Premier non è che un tecnico, ammesso a sostituire fugacemente il politico detronizzato. La deturpazione funesta delle parole, lo stratagemma d´illudere il popolo imbellendo la realtà e inventandosi, per decerebrarci, un´attualità del tutto sfasata rispetto a ciò che davvero è attuale, cioè urgente, emergente: per decenni ci eravamo assuefatti a questo, e abbiamo finito col chiamarlo «politica». È ora di restituire, a quest´ultima, il severo verbo vero che le si addice.
Ogni volta che Monti viene descritto come un tecnico, entrato per effrazione in un teatro non suo, c´è da avere i brividi. Vuol dire che i politici di ieri ritengono il Premier un impolitico, e il suo sapere scientifico qualcosa di superfluo, se non dannoso, nell´arte di governo. Che giudicano impolitica anche la vocazione a non nascondere quel che è doloroso, dunque profondamente attuale, nell´oggi che viviamo. Da poche settimane sentiamo parlare di Italia e Europa con accenti inediti (un primo assaggio, ma breve, si ebbe nell´ultimo governo Prodi). I cittadini per ora approvano, conoscono una sorta di sollievo.
Si sentono anche confortati, nel loro rigetto cupo della politica? Può darsi, ma c´è un che di nefasto in questa visione duale: da una parte i politici, dall´altra un Premier che ha tutte le doti dello statista, che interiorizza al massimo la rappresentanza democratica, e tuttavia è percepito come tecnico, estraneo ai giochi nazionali. Essere impolitici in una democrazia smagliata ha le sue virtù: impolitico è chi non possiede le furbizie del professionista politico. Ma prima o poi le due figure vanno congiunte (già si congiungono nel Premier) per depurare la politica ed evitare che senza soluzione di continuità, senza memoria di quest´intermezzo, ci venga restituita domani la politica di ieri.
Le parole dette con franchezza, che Monti usa con metodo nelle conferenze stampa, hanno una lunga storia nella democrazia. Ne discussero i filosofi dell´antichità greca, e diedero al dire-tutto il nome di parresia: un vocabolo che torna negli Atti degli apostoli (Pietro e Giovanni rischiano la morte, pur di testimoniare il vero e la libera coscienza del cristiano). Chi parlava senza blandire o mimetizzarsi era chiamato parresiasta. Senza parresia, scrive Foucault, «siamo sottomessi alla follia e all´idiozia dei padroni»: la pòlis ha bisogno di verità, per esistere e salvarsi.
Monti è all´altezza di tale compito? Per come tratta i giornalisti, per come li considera messaggeri dei cittadini – quasi il coro di antiche tragedie – si direbbe di sì. Non tutti i suoi ministri sono parresiasti: l´apprendimento del parlare-vero è lento, sempre scabroso. Si perdono privilegi, ci si espone alle critiche dei sofisti (gli economisti). Nella democrazia ateniese, secondo Socrate e Demostene, si rischiava la vita. Ha parlato-vero il ministro Fornero, quando tremò, il 4 dicembre in sala stampa, nell´annunciare i sacrifici: non perché volesse celarli, ma perché tremando li confermava penosamente veri.
Anche in Europa il Premier è parresiasta, come nessun collega dell´Unione: ai suoi pari come alla stampa, fa capire che c´è emergenza per tutti, che questa è l´attualità dentro cui i leader non guardano. In due occasioni ha osato bandire le deferenze – che già condannava da mesi. Prima è accaduto a Strasburgo, nel vertice del 24 novembre con la Merkel e Sarkozy, quando ha ricordato i peccati di chi oggi vitupera i dilapidatori del Sud: «Una buona parte della perduta credibilità del Patto di stabilità è stata dovuta al fatto che, quando Germania e Francia nel 2003 entrarono in conflitto col patto, i due governi dell´epoca, francese e tedesco, con la complicità del governo italiano che presiedeva il consiglio Ecofin (il governo Berlusconi, ndr), sono passati sopra queste deviazioni. Credo sia stato un grosso errore». Non solo: ha ricordato che fu proprio lui, commissario a Bruxelles, a battersi perché la Commissione denunciasse il Consiglio dei ministri di fronte alla Corte di giustizia, e a ottenerlo.
La seconda occasione è stata la conferenza stampa di fine anno. Aprendo un dialogo con Tobias Piller, corrispondente a Roma della Frankfurter allgemeine Zeitung, il Premier ha fatto una piccola lezione sui tempi lunghi e corti in politica, biasimando l´incapacità tedesca di ritrovare la veduta lunga del passato.
Ci vuole coraggio per firmare le proprie parole, parlando-vero. Chi lo possiede non ha la vita facile, deve esser cauto se non vuol ricadere nel parlar-falso. Alcuni barcollano, tra chi sta accanto a Monti. Per esempio il potente ministro Passera (responsabile dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture, dei Trasporti). Nei giorni scorsi è inciampato malamente, su un caso rievocato dalla stampa: segno che la parresia latita nei partiti, ma un po´ anche nel governo.
Il caso è la mancata vendita di Alitalia e il suo presunto salvataggio: è una delle grandi menzogne dell´era Berlusconi, e su questa pietra Passera ha incespicato. Criticato da Milena Gabanelli e Giovanna Boursier (Corriere della Sera, 30-12) ha replicato: «L´operazione Nuova Alitalia fu del tutto trasparente e rispettosa delle regole, comprese quelle della concorrenza. Con capitali privati si sono salvati almeno 15 mila posti di lavoro ed è stato drasticamente ridotto l´onere che lo Stato avrebbe dovuto sostenere se fosse avvenuto l´inevitabile fallimento dell´intera vecchia Alitalia».
Ricordare è forse difficile per Passera, ma Monti certo sa come andarono le cose. È vero che l´operazione Fenice salvò posti di lavoro e ridusse, per lo Stato, i costi di una bancarotta. Ma il fallimento non era affatto inevitabile. Il governo Prodi aveva stretto un accordo con Air France, che fu sabotato – complici i sindacati – dall´alleanza fra Berlusconi e l´odierno ministro dello Sviluppo (allora amministratore delegato di Banca Intesa). Formalmente è vero che furono rispettate le regole della concorrenza. Ma solo perché il governo Berlusconi modificò con un decreto ad hoc le norme antitrust relative alla tratta Milano-Roma, consentendo a Alitalia-Air One di ottenere il monopolio su tale rotta.
Le cifre parlano chiaro, e un governo che dice il vero non può occultarle. Il piano francese prevedeva 2.120 licenziamenti. Nuova Alitalia, assorbendo la fallimentare Air One di cui Banca Intesa era creditrice, ne licenziò 7.000. L´integrazione con Air France sarebbe stata ben più benefica: minori costi per lo Stato (per i contribuenti), minori costi per azionisti e obbligazionisti Alitalia, nessun cambiamento “in corsa” delle regole per favorire cordate italiane, inserimento di Alitalia in una promettente rete internazionale.
In tempi di crisi, la parola del parresiasta si accosta a quella profetica, o del saggio. I tempi s´allungano, il futuro lontano è incorporato come compito nel presente, la scadenza elettorale non è il cannello d´imbuto che inchioda i governanti alla veduta corta ma è un uscire all´aperto di cittadini bene informati.
Milena Gabanelli e Giovanna Boursier hanno chiesto a Passera di liberarsi dei suoi ingombri. Ma alla domanda viene da aggiungere: guardi al Presidente del Consiglio, signor Ministro, al suo linguaggio. Esca non solo dai conflitti d´interesse, ma dalle tante bugie dette ai cittadini: la bugia su Alitalia l´hanno pagata gli italiani, come contribuenti e lavoratori. La pòlis ha bisogno di verità, sugli sbagli di ieri. La pòlis ha bisogno di verità, sugli sbagli di ieri. Un ministro del governo Prodi parlò-vero, all´inizio del 2008, quando disse che avevano «ripreso sopravvento gli impulsi di autodistruzione presenti nella società italiana e nella classe politica», e criticò proprio l´offensiva pregiudiziale di Passera contro l´accordo Air France. Passera è un tecnico, non meno di Monti. Non basta esser tecnici per liberarci della malapolitica che ci ha portati nella fossa.
La Repubblica 04.01.12