Il consiglio dei ministri si riunisce oggi per avviare la cosiddetta «fase due» dell’azione di governo che dovrebbe essere concentrata sullo sviluppo dell’economia, mentre, per la verità, la «fase uno» ha lasciato uno strascico di polemiche e di tensioni politiche e sociali che certo non si spegnerà con la fine del 2011. La manovra «Salva Italia» approvata in tempi record e con una maggioranza vastissima era ritenuta dal governo Monti il primo passo indispensabile per sistemare le emergenze più gravi, conti e debito pubblico, e per recuperare in Europa e sui mercati un po’ di credibilità che potesse garantire al Paese di recitare una parte da protagonista e non da comparsa nel futuro dell’Unione. Ma se questi sono stati gli
obiettivi condivisi dalle maggiori parti politiche, non si può certo dire che al momento l’amara ricetta recapitata alle famiglie, ai lavoratori, ai pensionati abbia prodotto i risultati sperati. Naturalmente c’è bisogno di tempo e di altre misure, ma siccome in questo sistema economico malato bisogna fare tutti i giorni i conti con lo spread, la dinamica dei tassi di interesse, le Borse, allora dobbiamo constatare che il differenziale tra i Btp e i titoli di Stato tedeschi resta ben sopra i 500 punti, il costo del debito pubblico rimane su pericolosi livelli di guardia, piazza Affari soffre. Questa emergenza non è attribuibile solo al nostro Paese, ma riguarda in primo luogo l’Europa e le sue decisioni, comprese quelle pre-natalizie, che non hanno convinto nessuno e producono stati ulteriori di incertezza, anziché favorire un rafforzamento
dell’intera Unione di fronte alla recessione. Quanti altri sacrifici saranno chiesti ai cittadini italiani ed europei se la leadership del Vecchio Continente resta inadeguata al drammatico momento che viviamo?
L’Italia, secondo le previsioni, si appresta a vivere il 2012 in
recessione, con un’ulteriore perdita di posti di lavoro (800mila stimati da Confindustria), mentre l’impoverimento del tessuto sociale, la caduta del reddito, la crescita dei prezzi al consumo sono fenomeni evidenti a tutti. In questa situazione appaiono gravi le incomprensioni tra governo e sindacati confederali
determinate dalla decisione di Monti e dei suoi ministri di procedere fin qui senza accettare i contributi dei rappresentanti dei lavoratori. L’intervento sulle pensioni ha avuto caratteri di iniquità e quello ventilato sull’articolo 18 sarebbe stato intollerabile.
Il governo Monti deve far comprendere al mondo del lavoro, ai corpi intermedi di rappresentanza sociale, se la «fase due» prevede il confronto, la collaborazione, il consenso oppure ricalcherà la «fase uno». Sappiamo bene che non ha un compito facile ed è necessario un gesto di coraggio nel cercare di avviare il rilancio dell’economia con l’aiuto e la partecipazione di chi, è bene ribadirlo, oggi paga il prezzo più alto della crisi e anche del risanamento. Recitare la parte del governo dei toni bassi, della responsabilità, della sobrietà anche personale e poi muoversi, magari inconsapevolmente, sulle tracce di Sacconi non può essere una linea politica capace di attrarre il consenso sociale necessario a fronteggiate questo momento tremendamente difficile.
Il governo ha l’autorevolezza per tentare di cambiare aria e per convincere pensionati e lavoratori che i loro sacrifici non sono inutili. Liberalizzazioni (possibilmente senza praticare sconti sospetti come avviene sul mercato ferroviario con l’ingresso dei privati di Ntv), infrastrutture, ammortizzatori sociali sono i capitoli principali che il governo vuole definire nel primo trimestre del nuovo anno. Vedremo quali saranno le proposte. A volte, in situazione di crisi e di grave disagio, bastano pochi segnali per dare il segno della svolta. L’asta delle frequenze tv potrebbe essere la prima occasione per dimostrare al Paese che tutti possono pagare. Una revisione dell’intervento delle
pensioni per evitare le ingiustizie più pesanti sarebbe un gesto di maturità politica propedeutico a una maggior collaborazione con i sindacati. Sarebbe anche assai utile comprendere come il governo e il ministro Fornero giudicano il nuovo quadro «contrattuale» della Fiat che tra un paio di giorni escluderà il maggior sindacato dei metalmeccanici dalla rappresentanza in fabbrica. Un po’ di vera politica può servire anche a
un governo tecnico.
L’Unità 28.12.11