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"Se l'Europa non cambia", di Silvano Andriani

Pare sia stata Christine Lagarde, da ministro dell’Economia, a inventare l’espressione «contrazione espansiva» che significa che, se si seguono politiche di contrazione dei deficit pubblici con governi credibili, i privati aumentano investimenti e consumi e la crescita riparte. Ma la realtà si è premurata di smentire la teoria.

Infatti da che questa politica si è affermata, un anno e mezzo fa, sono cambiati nell’area euro cinque governi, in Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia e Italia, tutti ora sostenuti da larghissime maggioranze, due addirittura composti da tecnici, ma le cose in Europa vanno sempre peggio. È la dimostrazione del fatto che «contrazione espansiva» è una contraddizione in termini non solo sul piano lessicale, ma anche nella concreta realtà. E ora è la stessa Lagarde, diventata nel frattempo capo del Fondo monetario internazionale, ad avvertirci che il mondo corre il rischio di una «crisi stile anni ‘30» e che l’Europa sarebbe l’epicentro di tale crisi. Stiamo parlando non più di una recessione, ma di una «grande depressione» e per fronteggiare tale situazione l’unica decisione concreta presa dal recente vertice di Bruxelles riguarda la Banca centrale europea che sta inondando di liquidità le banche dell’area euro.

Ci sono due scuole di pensiero. Una ritiene che la Bce stia semplicemente fornendo alle banche la liquidità che esse non ricevono più dai mercati, né si scambiano più fra di loro, affinchè possano normalizzare i rapporti con la clientela, come sostiene il governatore della Banca d’Italia. Si può semplicemente notare che i sistemi bancari stanno diventando sempre più dipendenti dalle Banche centrali. L’altra ritiene invece che parte consistente della liquidità sarebbe fornita alle banche per indurle a comprare titoli di Stato e che così la Bce aggirerebbe il divieto ad acquistare direttamente quei titoli contenuto nel proprio statuto. Se la seconda fosse l’ipotesi giusta, non è detto che funzionerà. Le banche sono già passate da questa strada due anni fa quando la Bce offrì loro 400 miliardi che furono in parte impiegati nell’acquisto di titoli pubblici greci, irlandesi, portoghesi, spagnoli, con i risultati disastrosi che conosciamo. Non è detto che ci riprovino e non è detto che possano farlo in misura sufficiente a far fronte alla gran massa di titoli pubblici in scadenza nel 2012 contenendo i tassi di interesse. In ogni caso diventerebbe sempre più profonda la compenetrazione tra bilanci delle banche e bilanci pubblici ad ulteriore riprova del fatto che il mito dell’indipendenza delle Banche centrali e della autonomia della politica monetaria dalla politica fiscale è solo una leggenda che ora serve a generare una rendita a favore delle banche – si indebiterebbero all’1% ed investirebbero in titoli pubblici al 3-4%- che sarà pagata, al solito, dai contribuenti. Ma questo non fa più notizia.

Una europeizzazione del debito dei Paesi dell’area europea, sul tipo di quella che ebbe luogo nel processo di formazione degli Stati Uniti d’America, risolverebbe il problema del debito e avvierebbe una vera unificazione fiscale dell’area che potrebbe fare da base per politiche di sviluppo di dimensione europea. L’unificazione fiscale che ci hanno venduto è solo un inganno che, anche nell’ipotesi improbabile che l’intervento della Bce funzioni, lascerebbe sostanziali differenze nei tassi di interesse per i diversi Paesi, formidabile handicap per i Paesi più deboli. Veniamo così al limite principale della strategia seguita a livello europeo: essa non affronta il problema strutturale fondamentale. Si fa un gran parlare di problemi strutturali ed ogni Paese ha i suoi, ma il più importante problema strutturale ha dimensione europea e deve essere affrontato a quel livello: la divergenza tra i livelli di competitività dei Paesi dell’area euro. Tutto oggi spinge verso un aumento di tali divergenze: politiche di austerità più pesanti per i Paesi più deboli; differenziali dei tassi di interesse; un tasso di cambio dell’euro che avvantaggia enormemente i Paesi più forti e svantaggia i più deboli. Se questa tendenza non sarà rovesciata la crisi dell’euro diventerà inevitabile. Il centrosinistra in Italia si trova ora nella situazione peggiore possibile. Deve sostenere un governo che sta facendo rientrare il Paese da un livello di vita ormai al di sopra dei propri mezzi, ma è costretto a farlo nel quadro di una strategia europea disastrosa imposta dal dominio dei principali governi della destra europea.

Ed nel sostenere la politica del governo il centrosinistra è costretto ad accettare compromessi con la destra italiana. In questi frangenti nulla impedisce, tuttavia, che si annunci quello che ha affermato giorni fa il candidato socialista alle elezioni presidenziali francesi di passaggio in Italia: che i partiti di sinistra si batteranno insieme per abbattere la supremazia della destra in Europa, evitare il collasso dell’euro e rilanciare il processo di unificazione politica dell’Europa. E che questo sarà il principale obbiettivo in tutti gli importanti confronti elettorali che si terranno in Europa nei prossimi diciotto mesi.

da L’Unità