Qualche settimana fa, nel raccontare della decisione del Cavaliere di prendere delle sculture antiche dai depositi del Museo Nazionale Romano per decorare alcune sale di Palazzo Chigi, ritenute troppo spoglie per gli splendori del nouveau régime, ricordavo che con i miei studenti mi sono servito di questa vicenda per illustrare aspetti ideologici e storici di un precedente famoso di due millenni or sono, quello costituito dal continuo uso da parte di grandi generali e imperatori romani, che solevano ordinare il saccheggio di santuari e di piazze pubbliche del mondo greco per decorare ville e palazzi dell´Urbe.
Sappiamo da una lettera famosa di Cicerone che le povere statue greche, requisite con metodi spicciativi sovente ricostruiti in dettaglio dagli archeologi, venivano ricollocate nelle nuove sedi con colossali effetti kitsch, propri di tanta parte della cultura dei conquistatori del mondo: la ricostruzione dei “programmi decorativi”, ossia delle linee guida dei nuovi significati assunti dalle sculture rapinate, rappresenta uno dei temi più importanti della ricerca contemporanea di storia dell´arte romana, di grande utilità per comprendere la mentalità dei committenti, che di rado si distingue da quella dei parvenus di tutte le epoche e di tutte le latitudini.
Mi chiedevo allora quale fosse il “programma decorativo” alla base di quel “delicato prelievo” dai depositi del Museo Nazionale Romano: ho ricordato l´episodio analogo del secondo governo Berlusconi.
Protagonista l´allora ministro per i Beni e le Attività culturali Urbani, il quale inviò a Bruxelles un busto di Adriano, figura archetipica – a detta dell´allora ministro – di quel Buongoverno che era in quegli anni la parola d´ordine della destra al potere e cara, sempre secondo Urbani, al nostro premier, conquistato dalle pagine della Yourcenar.
Quando scrivevo questa mia recente nota ignoravo le scelte del Cavaliere e a maggior ragione quale fosse “il programma” del nuovo arredo imperiale. Ora il nodo è stato sciolto.
I giornali di sabato 14 marzo ´09 sono pieni di articoli che, non senza alcune imprecisioni e vaghezze, ci informano sui materiali prescelti e persino sulla futura collocazione, se non di tutte, almeno delle principali sculture.
Il pezzo forte del “prelievo” è un gruppo raffigurante Marte e Venere, le cui teste sono in realtà i ritratti di un Marco Aurelio molto giovanile e della sposa di questi Faustina Minore. Il pezzo forte è veramente tale e è lungi dall´essere opera secondaria, trattandosi di un raro pezzo di scultura che immagina entrambi gli Augusti sotto spoglie divine, un´iconografia nella quale è facile trovare uno solo dei due imperatori, ma di rado l´augusta coppia: il gruppo fu trovato ad Ostia nelle cosiddetta “Basilica” agli inizi del secolo scorso, quando la sede naturale per questi trovamenti era il grande museo romano (nulla di simile esisteva ad Ostia): ora la sua nuova sede sarà il pianerottolo dello scalone principale di Palazzo Chigi.
Poi si parla di due altri ritratti imperiali, mentre il “Corriere della Sera” afferma che le altre statue sarebbero invece un Ercole e una figura muliebre.
Ma per noi, curiosi della psicologia (e dei gusti) del Capo, il silenzio sulle motivazioni della scelta resta purtroppo assordante. Fortunatamente per noi la luce ci giunge dalla lontana Catania, contenuta in un articolo apparso sempre sabato 14 sul quotidiano “La Sicilia”, dovuto alla penna colta e delicata di Michele Nania, il quale spiega tutte le profonde motivazioni del “programma decorativo” concepito per Palazzo Chigi.
Con un titolo che trasuda cultura (“Quanto baccano per quattro statue… “), Nania testualmente così ci informa: “tanto per cominciare le statue sono tre e non quattro come sostiene la disinformazia comunista. Imparino a contare, lorsignori: c´è un gruppo marmoreo con Venere e Marte (tema peraltro di cui il signor premier può fare scuola e doposcuola) che sarà collocato alla sommità dello scalone d´onore, dove passano potenti e capi di Stato in visita ufficiale. Poi ci sono altre due cosuzze: una statua di Marco Aurelio e una della moglie Faustina Minore (bravo presidente, la famiglia innanzi tutto), che andranno nello studio privato”.
Basta con “la solita opposizione cattocomunista, maldestra e disinformata”, si lascia sfuggire la sobria e informata penna di Nania, il quale di sfuggita accenna che la discussa trasferta sarda dei Bronzi di Riace per deliziare gli ospiti del G 8 sarebbe ormai cosa fatta (“?.. il concitato imperio e il celere ubbidir?.”): a noi che credevamo che la cosa fosse ancora in discussione e soprattutto avevamo fiducia che tutti quegli archeologi da poco nominati dal ministro nel Consiglio Superiore avrebbero ben ponderato il da farsi, senza preoccupazione di dar torto al Presidente, finalmente Nania ci fa ora sapere notizie di fonte sicura e soprattutto unica.
D´ora in poi la stampa, seguendo l´esempio dotto e informato de “La Sicilia”, potrà esplicitare motivi reconditi delle scelte autorappresentative del Cavaliere, messe in atto con i suoi napoleonici “prelievi”.
Finalmente sappiamo che il gruppo di Marte e Venere è lì, al termine del solenne moto ascensionale dello scalone, per ricordare ad illustri visitatori che il nostro Presidente del Consiglio è tutto armi ed amori: come dice Nania, sul tema Berlusconi può fare “scuola e doposcuola”.
Ma ci assale il dubbio di essere scarsamente informati sull´augusta biografia: se l´aneddotica sulla galanteria del Cavaliere è ricchissima, confessiamo la nostra pochezza cattocomunista nel sussurrare che ci sfuggono i suoi fatti d´arme.
La Repubblica, 18 marzo 2009