La lunga stagione di Mauro Moretti alla guida delle Ferrovie dello stato è arrivata ad uno snodo cruciale. I treni sono una grande metafora della vicenda italiana: il loro arrivo puntuale fu il simbolo di una dittatura che per queste cose funzionava, e pazienza per il resto – cioè tutto. La caoticità del sistema divenne poi il simbolo di una crescita disordinata ma impetuosa, seppure fra cattive gestioni e tecnologie balbettanti. Il mandato di Moretti era quello della modernizzazione, dell’apertura al mercato, della velocità. Cosa resta oggi di quelle evocazioni? Una realtà dura, d’altri tempi.
La scena dei viaggiatori infreddoliti che salgono a Bologna e si stipano come deportati in carrozze stracolme, pagano pure un sovrapprezzo e se ne stanno schiacciati col naso sul finestrino per ore verso una lontanissima Lecce, è una scena pietosa. Sui nuovi Frecciarossa chi sceglie la classe Standard (la più economica) sappia che, per quasi tutta la durata del viaggio (Milano-Roma, Roma-Napoli), dal suo vagone potrà accedere solo agli altri tre riservati a chi ha pagato la tariffa più bassa: niente «passeggiatine» per sgranchire le gambe se non all’interno dei quattro suddetti vagoni. Le porte? Bloccate.
Ogni giorno le cronache ci dicono di treni soppressi, o fatiscenti (ovviamente quelli del Sud) e insieme di tariffe che salgono, di personale “in esubero”. Poi c’è la vicenda dei lavoratori della ex Wagon lits che dal 9 dicembre si trovano su una torre ad alcune decine di metri di altezza, nella stazione Centrale di Milano, per protestare contro la soppressione dei treni notturni che costerà il lavoro a 800 di loro.
Un quadro molto negativo. E allora, in questo Natale angosciato, la metafora dei treni assume ancora una volta un valore reale: che non solo non contraddice l’angoscia generale ma ci mette del suo, come nei momenti peggiori.
da Europa Quotidiano 27.12.11