Appena l´emergenza più drammatica si è placata, i partiti hanno rimosso un paradosso inquietante: ancora una volta nel giro di pochi anni il nostro Paese sembra capace di esprimere governi di qualità, capaci di operare quando la politica viene travolta dalla crisi. Così fu fra il 1992 e il 1994 quando, in condizioni difficilissime, Amato e Ciampi avviarono il risanamento proseguito poi dal primo governo Prodi: cioè dal governo di centrosinistra della “seconda Repubblica” che è stato meno prigioniero dei partiti. Nel 1992 il sistema politico crollò all´improvviso, oggi è giunta alle estreme conseguenze una corrosione del centrodestra che ha lasciato solo macerie e che si è svolta nella sostanziale assenza di un´opposizione credibile, capace di idee e progetti alternativi. Oggi come allora nel momento della verità i partiti sono stati più un peso che una risorsa, più un intralcio che uno stimolo.
È un nodo centrale del dramma di oggi. Per questa via si è lacerato sempre più, lo ha sottolineato benissimo Gustavo Zagrebelski, quel rapporto essenziale fra società e stato che è compito dei partiti garantire. Siamo giunti cioè al punto estremo di crisi della democrazia: di questo si tratta, ed è inutile nasconderselo. È significativo il ruolo costituzionalmente ineccepibile e al tempo stesso provvidenziale svolto negli ultimi vent´anni da tre capi dello Stato – Scalfaro, Ciampi e Napolitano – che hanno partecipato alla fondazione della Repubblica e sono felicissima espressione di quel clima, di quello spirito. Sono poi dei “non politici” di assoluta qualità a dare prova di uno spirito di servizio che dovrebbe essere il segno distintivo più nobile della politica. Una politica che sta bruciando quel che rimaneva della propria credibilità continuando a ignorare l´urgenza di riformare radicalmente se stessa, il proprio modo di essere e le proprie regole. E difendendo invece nella maniera più assurda i propri privilegi, fino al colpo di mano alla Regione Lazio e a tutte le vicende che variamente ruotano attorno ai vitalizi.
Siamo di fronte alla necessità di ricostruire non solo un sistema politico ma anche un Paese che appare profondamente smarrito e che è chiamato a sacrifici pesantissimi. Anche per proprie colpe: in passato è stato troppo pronto a rimuovere le proprie responsabilità. A dimenticare il contributo direttamente o indirettamente dato all´aprirsi delle voragini, con pesanti spinte corporative e corpose inosservanze degli obblighi civici. Così fu negli anni Ottanta: di queste pessime stoffe era intessuto il sostegno al pentapartito che celebrava allora i suoi trionfi e che ci guidò poi con spensierato ottimismo sin sull´orlo dell´abisso. La barca va, si diceva: fino al naufragio. Così è stato anche nella stagione berlusconiana, e nessuno può rispolverare oggi il mito di una società civile interamente sana contrapposta a un sistema politico corrotto. Sembra semmai più adeguata una vignetta di Altan di qualche tempo fa: “Il Paese avrebbe bisogno di riforme… ma anche le riforme avrebbero bisogno di un Paese”.
Oggi siamo costretti di nuovo a “guardarci dentro”, ad interrogarci sul nostro passato e sul nostro futuro. Il centrosinistra deve spiegare in primo luogo a se stesso perché nel crollo della “prima repubblica” mancò l´occasione di proporre modelli e pratiche di buona politica. E perché affossò poi rapidamente il primo tentativo di Prodi di andare in quella direzione, lasciando così via libera al consolidarsi del populismo e dell´antipolitica. Perché, anche, è diventato progressivamente preda di una opaca afasia.
È altrettanto importante il ripensamento che può coinvolgere quell´area moderata – spesso al di fuori o ai margini delle organizzazioni politiche – che non ha seguito fino in fondo la deriva berlusconiana: perché è così difficile nel nostro Paese la nascita di una destra normale? Ce ne sono finalmente le condizioni? Questo sarebbe un importantissimo elemento di svolta.
Le riflessioni delle forze politiche di entrambi gli schieramenti possono oggi essere favorite dalla qualità stessa del governo che è stato messo in campo. Essa ha fatto rapidamente impallidire tutte le ipotesi sul “dopo Berlusconi” che erano state avanzate in precedenza: sia quelle che sapevano di “conservazione” sia quelle che si presentavano con il volto dell´innovazione. Oggi ci appaiono tutte obsolete, sanno di antico e di inadeguato. Ed è sempre la qualità di questo governo a rendere ancor più stridenti le insufficienze dei partiti e le loro più estreme manifestazioni di irresponsabilità. Su questo terreno la Lega ha sbaragliato ogni suo precedente record ma la demagogia e l´improntitudine, dopo anni e anni di governo, non sembrano più farle guadagnare consensi. Se così continuerà ad essere, sarà un ottimo segnale. Non andrebbero neppure commentate poi le sortite di Berlusconi, primo responsabile del disastro ma pronto a far cadere il governo appena i sondaggi gli tornassero favorevoli: eloquente conferma di un insanabile conflitto con il bene comune.
La rifondazione di una classe dirigente sulla base della competenza, del rigore e dello spirito di servizio è dunque obbligatoria ed è un processo da avviare subito: altrimenti al voto del 2013 si giungerà con inquietanti incognite. Senza quest´inversione di tendenza, senza il contributo attivo della politica sarà molto difficile ricostruire l´etica collettiva, il senso di una comunità. Sono straordinariamente importanti al tempo stesso i segnali che verranno dal governo: la difesa intransigente di equità sociale e diritti, merito e trasparenza sono il motore indispensabile e insostituibile di una Ricostruzione. In un Paese smarrito ma ancora capace di uscire dalle derive di questi anni le indicazioni di futuro sono essenziali: contribuiscono in modo decisivo alla capacità vitale di una nazione, alla sua possibilità di ritornare protagonista. Questo governo ha tutte le qualità per mandare i segnali giusti, ed è in realtà l´ultima occasione per invertire la rotta. Per questo è giusto chiederglielo con forza.
La Repubblica 23.12.11