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"La corruzione e il potere ingiusto", di Carlo Galli

A livello politico, la corruzione è la deviazione del potere dalle finalità che gli vengono assegnate dalla civiltà moderna. Che consistono nell´amministrare impersonalmente e imparzialmente, e nel riconoscere e tutelare i diritti individuali e collettivi in un contesto di legalità, di certezza, di uguaglianza, di prevedibilità. C´è corruzione quando un apparato pubblico (una burocrazia) accetta o sollecita per sé benefici, in denaro o d´altra natura. Benefici solo in cambio dei quali soddisfa alcuni bisogni sociali – non tutti, ma solo quelli dei corruttori –; ma questa è appunto una deviazione sostanziale del potere dal proprio orizzonte pubblico. La corruzione rende il potere parziale e ingiusto perché favorisce qualcuno (chi è in grado di corrompere prima e meglio) a danno di tutti coloro che hanno diritto a una prestazione pubblica, o a vedere riconosciuto un diritto, un merito.
Quando questo strappo alle regole diventa sistema, quando l´anomalia diventa norma, si perde qualcosa di ancora più profondo della forma moderna del potere. È la fiducia dei cittadini nel potere, e al tempo stesso nella sostenibilità delle loro relazioni sociali. Per ogni concorso truccato, per ogni promozione ingiusta, per ogni permesso edilizio comperato, per ogni scandalo, per ogni occhio chiuso, tutta la collettività paga un prezzo: si dissipa quel capitale di reciproca credibilità fra Stato e cittadini, e all´interno della stessa società, che è l´architrave e il cuore del patto sociale. Ovvero, la promessa – implicita ma vitale – di tutti verso tutti che la nostra vita collettiva sarà immaginata, concepita e condotta secondo principi che la differenziano dalla vita in una giungla. La promessa che la vita sociale si organizzerà in modo tale che non sempre il più forte, il più ricco, il più astuto, prevarranno sugli altri – come invece avviene in quello stato di natura al quale i filosofi che hanno fondato la modernità politica affermavano che è necessario uscire, verso la civiltà perfezionata –.
La corruzione è il tradimento di quella promessa, di quel patto; è il ritorno della natura all´interno della vita associata, con tutta l´irrazionalità e l´imprevedibilità, con tutti i rischi, con tutta la cecità che la natura comporta. È la risposta più pigra e naturale alle difficoltà del funzionamento dello Stato, alle nuove esigenze della società: anziché operare riforme – mirate, progettate razionalmente – si sceglie la via più facile per recuperare efficienza, cioè il reciproco adattamento fra uno Stato invecchiato e una società che accetta di decomporsi pur di funzionare. Con il risultato perverso che, al contrario, si pregiudicano le basi stesse dell´efficienza, a tutti i livelli.
La decomposizione delle architetture della politica, che danno forma anche alla società – il potere pubblico, la legge, l´uguaglianza –, e l´affermarsi di conglomerati opachi di forze occulte, di collusioni fra pezzi di Stato e pezzi di società, di omertà diffuse, di sistemi illegali, di cricche, di mafie, sono infatti la fine della distinzione e della chiarezza, e l´affermazione della nebbia, dell´oscurità, in cui tutti sospettano di tutti, e tutti – i pubblici funzionari, ma anche ogni cittadino – perseguono il proprio interesse privato: ciecamente, senza certezze, senza altra progettualità che non un sempre più cinico e disperato “tirare a campare”. Tutti avvitati, quindi, nella corruzione e nell´inefficienza.
Abituarsi a questa qualità delle relazioni politiche e sociali, trovarle magari ingiuste ma normali, sgradevoli ma naturali e insopprimibili, è non solo la più radicale corruzione – in primis, dell´immagine che abbiamo di noi stessi, della nostra autostima come cittadini e come esseri umani, e quindi delle stesse fondamenta morali e civili del sistema-Paese, della volontà collettiva di vita civile –, ma è anche un calcolo sbagliato, una deriva rovinosa. La corruzione è anche un costo economico proprio perché le economie sviluppate, pur con tutte le loro contraddizioni, chiedono ancora quella prevedibilità dei pubblici poteri e della vita sociale che è proprio ciò che il nostro Paese non sa più offrire, se non a macchia di leopardo, solo in alcune zone del territorio. Ed è per questo che gli investimenti stranieri precipitano, e che si espande il raggio d´azione delle economie criminali, che dalla corruzione dello Stato e della società traggono il loro nutrimento parassitario.
Fra le anomalie di questo Paese c´è oggi, si dice, anche il fatto che la democrazia è a rischio. È vero. Ma non certo perché l´esecutivo è formato da tecnici – che senza il voto del parlamento non andrebbero lontano: altro che golpe! –. Ma perché la corruzione soffoca sistematicamente la nostra fiducia in quei valori fondamentali, in quegli assetti istituzionali, in quella trasparenza delle relazioni sociali, in quella possibilità di sviluppo civile e materiale, in cui la democrazia in ultima analisi consiste.

La Repubblica 22.12.11

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“Il “ricarico” sulle Grandi Opere così la lobby politici-imprenditori fa lievitare i costi del 40 per cento”, di Carlo Bonini

G8, Italia 150, Mondiali nuoto: i numeri dell´assalto. L´onere per lo Stato aumenta da 574 a 834 milioni: neanche a Tangentopoli “dazio” così pesante. Nelle inchieste sul sistema Anemone-Balducci-Bertolaso radiografati trentatrè appalti
Un caso emblematico di fondi pubblici deviati in tasche private. Con i soldi sperperati si sarebbe potuto mettere in sicurezza il patrimonio archeologico di Pompei. Capita che di una storia di corruzione diventata insieme metafora e immagine del Paese, si finiscano con il ricordare solo le facce, i nomi, l´avidità dei protagonisti. O, piuttosto, i massaggi in un centro benessere, la spregiudicatezza di un frate missionario ridotto a bancomat, l´oscena risata di un costruttore sciacallo che si compiace per il terremoto de l´Aquila, il patrimonio immobiliare di una potente congregazione vaticana, “Propaganda Fide”, usato come leva per comprare la compiacenza di funzionari pubblici. Capita insomma che si elidano i numeri. E, dunque, si cancelli il danno e la sua macroscopica misura. E´ successo con il lavoro delle procure di Firenze, Perugia, Roma, con le indagini del Ros dei carabinieri sul “Sistema gelatinoso” Anemone-Balducci-Bertolaso, sul potere di spesa senza fondo di una Protezione Civile ridotta a spa del consenso, su un ministro “distratto” e il suo mezzanino al Colosseo. Nelle carte di quelle inchieste – oggi a processo in tre città diverse – è documentato quale “ricarico” le prassi corrotte di quel sistema di relazioni hanno accollato alle nostre tasche. Su 33 Grandi Opere oggetto di indagine nel triennio 2007-2010 (mondiali di nuoto di Roma, G8 alla Maddalena, 150 anni dell´Unità d´Italia), il maggior costo sostenuto dalle casse pubbliche è stato di 259 milioni, 895 mila 849 euro. Oltre il 40 per cento dell´importo iniziale con cui i lavori furono aggiudicati. Un salasso che ha fatto schizzare il costo complessivo di quelle opere da 574 a 834 milioni di euro. Per avere un´idea, con quel denaro succhiato dal “Sistema gelatinoso” (259 milioni) oggi – come documentano le richieste sin qui ritenute “irricevibili” da un bilancio pubblico allo stremo – sarebbe possibile realizzare la messa in sicurezza di un patrimonio archeologico dell´umanità come Pompei o la costruzione di ospedali nell´Abruzzo del dopo-terremoto. I numeri che illustrano il dettaglio dei singoli appalti segnalano la scientificità nel calcolo del “ricarico” imposto dal “Sistema”, ma anche la crescita esponenziale di quella percentuale. Nell´Italia corrotta scoperchiata da Tangentopoli, il “dazio” sulle grandi opere oscillava tra il 10 e il 20 per cento. In quindici anni, è raddoppiato. Anche perché la “catena alimentare” che deve sfamare si è allungata. Politici, funzionari pubblici, professionisti.

La repubblica 22.12.11