Quanto pronta è la classe dirigente del Paese ad accettare l’attuale governo Monti? Pronta, ma non senza qualche seria riserva. Con un po’ di immaginazione, e una certa forzatura, potrebbe essere letta così l’indagine sull’Europa presentata ieri a Roma nella sede della Rappresentanza Italiana della Commissione Ue, – stanze di solito vuote, riempite ieri, nel giusto segno dei tempi, da giornalisti e osservatori.
Il lavoro si intitola «L’Europa e l’agenda delle Riforme», è stato voluto dal Forum internazionale economia e società aperta, figlio della Bocconi e dal Corriere della Sera , cioè dei due luoghi seminali del governo tecnico, e si rivolge a una fascia sociale ben precisa – con un campione di cittadini fra i 18 e i 60 anni, che usano internet, cui si aggiungono i dirigenti di un centinaio di aziende. Insomma parliamo qui sicuramente di una élite ben informata e molto attiva nel mercato del lavoro.
L’arco di tempo in cui questo gruppo viene contattato è cruciale: fra il 2 e il 9 novembre, cioè dopo la lettera a Bruxelles di Berlusconi (26 ottobre) e dopo la riunione del G20 a Cannes (quel 3 e 4 novembre del risolino fra Sarkozy e Merkel) ma prima delle dimissioni di Silvio Berlusconi (11 novembre) e dell’incarico a Monti (13 novembre). La ricerca, dunque pur non essendo direttamente sull’attuale premier fornisce un quadro di cosa passava nella testa di un po’ di italiani proprio nelle ore delle scelte che hanno portato al governo dei tecnici. Le risposte, pur ampiamente a favore dell’Europa, risultano più sfumate di quel che ci si potesse aspettare.
La più importante domanda, che costituisce l’architrave del lavoro, si riferisce alla famosa lettera della Bce: «La gran parte degli italiani ha fiducia nell’Europa e nelle sue indicazioni sulle cose da fare per uscire dalla crisi attuale?». La risposta è da maggioranza assoluta: un sì dal 72 per cento dei cittadini, che cresce all’88 per cento, come c’era da aspettarsi, fra gli imprenditori. Ma se si va nello specifico le opinioni si dividono nettamente. Così il 41 per cento pensa che l’Europa ci sta aiutando concretamente a risolvere i problemi, mentre un altro 41 per cento dice che non ci sta dando alcun aiuto, e il 18 per cento dice addirittura che l’Europa è la causa stessa dei nostri problemi. Sotto la fiducia si profila così una maggioranza molto più scettica se non addirittura contrariata dalla sudditanza all’Europa.
Lo stesso accade sul tema delle riforme. La maggior parte delle proposte (che poi sono quelle fatte proprie da questo governo) trovano enorme consenso – soprattutto quelle che «liberano» la società da «lacci e lacciuoli». Per cui c’è consenso alla flessibilità del lavoro (63%), al salario legato alla produttività (69%), alla riduzione delle imposte sui redditi da lavoro delle donne, a rendere più selettivi gli accessi all’università (75%).
Ma questa generale spinta alla meritocrazia e alla trasparenza frena davanti ai due maggiori interventi di cambiamento – la riforma delle pensioni, e la patrimoniale. La prima raccoglie una netta maggioranza contraria, e la seconda trova consenso solo se inquadrata in un contesto più ampio di misure. Come definire queste risposte? Come tenere insieme affidamento e sfiducia? Timori e sospetti che le sottendono?
Nella riunione di presentazione della ricerca ieri, tutta nel segno dell’«andiamo avanti», pure i segnali di dubbio non sono stati trascurati. Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha preso atto ma ha rilanciato: «Nessun tabù sull’articolo 18. La riforma del mercato del lavoro va affrontata con molta serietà, pragmatismo e senza ideologia». Il curatore, professore Carlo Altomonte, ha segnalato che anche in Italia c’è una crescita della sfiducia nei confronti dell’Europa. Il ministro per gli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi, si è dichiarato assolutamente convinto che l’Europa ha in sé la capacità di recuperare, «reinventandosi continuamente». Ragion per cui «l’euro non corre rischi».
Ma forse la migliore annotazione sulla complessità dei sentimenti proEuropa in Italia è stata fatta dal direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli che ha ricordato un dubbio del defunto PadoaSchioppa, ex ministro del Tesoro, uno dei padri dell’Europa: «Forse non abbiamo dato sufficiente peso a chi aveva sensibilità diverse». Un ricordo che dovrebbe avere molta eco nei difficili tempi attuali.
La Stampa 20.12.11