Gli ostacoli, piccoli e grandi, che il governo Monti ha trovato sulla sua strada dimostrano quanto fosse fragile e spesso ipocrita il fronte della solidarietà nazionale che sembrava essersi costituito all’inizio del suo mandato. Vi è una parte della classe politica che ha fatto un passo indietro per ragioni di forza maggiore, ma non ha mai rinunciato al desiderio di continuare a tenere nelle sue mani, senza pagarne il prezzo, i fili del potere.
Monti, dal canto suo, ha dato a tutti una lezione di stile politico a cui eravamo disabituati. Ha ascoltato i suoi interlocutori. Ha risposto e argomentato con pacatezza e senso dell’umorismo. Ha cercato di tenere conto delle richieste che avrebbero reso la manovra più equa, ma non ha permesso che l’impianto dell’operazione venisse tradito e snaturato. Ha spiegato perché certe misure richiedano uno studio accurato dei loro effetti e non possano venire adottate sull’onda della rabbia o dell’indignazione. Ha evitato di lasciarsi trascinare in quegli sterili litigi che fanno la gioia delle telecamere, ma si lasciano alle spalle un vuoto sconcertante di idee e di programmi. Chi temeva che un governo tecnico tradisse la volontà degli elettori dovrebbe almeno confessare che il «tecnico» non sta facendo nulla che possa pregiudicare, alla fine della legislatura, le sorti della democrazia italiana.
Dietro le difficoltà frapposte al governo di Mario Monti vi è la vista corta di coloro che non hanno altro orizzonte fuor che quello della prossima scadenza elettorale. Non si chiedono che cosa accadrà dell’Italia se i mercati continueranno a scommettere contro il suo piano di risanamento economico e finanziario. Si chiedono soltanto che cosa accadrà delle loro modeste persone quando il Paese sarà chiamato alle urne. E se il prezzo della rielezione è rappresentato da qualche cedimento all’Italia delle mille famiglie corporative, sono pronti e premere perché venga pagato dal governo.
La Lega è ancora più spregiudicata. Il partito di Umberto Bossi non ha né memoria né programmi. Dimentica di essere stato al governo per più di tre anni. Dimentica di avere sottoscritto tutte le manovre di Giulio Tremonti e di avere avuto accesso, in quel periodo, a tutti i dati sulle reali condizioni economiche del Paese. Chiamato a parlare del futuro, brontola soltanto qualche sgangherata battuta sulla secessione e l’indipendenza monetaria della Padania. Declama slogan contro gli speculatori, i banchieri e gli affaristi, ma si comporta come i mercati quando scommettono contro un’azienda o un Paese e fanno di tutto perché la loro previsione si realizzi. Sa che nella società italiana, come in ogni altra società europea, vi sono legittime preoccupazioni per il futuro e spera soltanto di trasformarle in voti per sé stessa. Non partecipa alla discussione sulle misure da prendere e le cose da fare. Vuole soltanto le elezioni il più presto possibile ed è pronta a trattare qualsiasi dibattito parlamentare come l’occasione di un comizio preelettorale.
Mi chiedo se la Lega si renda conto che uno spettacolo come quello offerto al Paese e all’Europa durante la seduta di ieri al Senato rende il governo Monti ancora più necessario di quanto fosse al momento della sua costituzione.
Il Corriere della Sera 15.12.11