Un maxi-risarcimento per i precari che potrebbe valere quasi un milione di euro. Il Tribunale del lavoro di Bologna ha condannato in primo grado il ministero dell’Istruzione al risarcimento di 31 insegnanti precari della provincia, che la scorsa primavera avevano presentato un ricorso patrocinato dal sindacato autonomo degli insegnanti, Gilda. Una decisione, quella delle toghe emiliane, che potrebbe costare al dicastero di Viale Trastevere tanti soldi, ma (e questa è la brutta notizia per i docenti) non lo costringerà a stabilizzare gli stessi precari.
A rendere nota la sentenza (le cui motivazioni verranno depositate nei prossimi giorni) è stato il segretario provinciale del Gilda, Giovanni Cadoni, che in un comunicato ha parlato anche delle prossime decisioni in arrivo da parte della magistratura. Altri cinque ricorsi sono infatti pendenti da parte di 206 insegnanti in totale. Se tutte queste azioni fossero accolte positivamente dal Tribunale del lavoro di Bologna i costi per il risarcimento da parte dello Stato potrebbero essere molto pesanti. A Genova, nella prima sentenza di questo genere del marzo 2011, a 15 insegnanti furono riconosciute 15 mensilità (proprio come oggi a Bologna), pari a circa 30 mila euro a testa. Se la cifra fosse la stessa nel capoluogo emiliano, i costi per il ministero arriverebbero a oltre 900 mila euro per tutte le 31 opersone.
La sentenza del giudice Carlo Sorgi ha dichiarato l’illegittimità del comportamento del ministero nel discriminare il lavoro a tempo determinato, non consentendo ai docenti né gli scatti di stipendio né – nella maggior parte dei casi – lo stipendio dei mesi di luglio e agosto. Ai 31 lavoratori verrà garantito oltre al risarcimento delle 15 mensilità con gli interessi (e comprensive di ogni voce della busta paga), anche la rivalutazione degli stipendi già ricevuti. In pratica, le paghe avute nel passato verranno compensate fino a raggiungere quelle dei colleghi a tempo indeterminato (come del resto prevede l’Europa).
Questi docenti hanno diverso tempo di precariato alle spalle. Alcuni hanno iniziato a lavorare addirittura nel 2002, sempre con la stessa litania ogni anno: “1 settembre assunto – 30 giugno licenziato”, non un giorno di più, non un giorno di meno. Così i precari vedevano i loro colleghi a tempo indeterminato ricevere gli aumenti della progressione salariale e gli stipendi estivi di luglio e agosto. Per loro invece, coi contratti a termine, c’era solo la speranza di essere richiamati l’anno scolastico successivo.
Su una cosa però il giudice bolognese non ha dato ragione agli insegnanti e al loro avvocato, Claudio Moscati: la stabilizzazione a tempo indeterminato. Una norma europea, recepita nel 2001 dalla legislazione italiana, imporrebbe l’assunzione a tempo indeterminato, nel momento in cui fosse evidente che quello occupato in maniera reiterata del precario è di fatto un posto di cui si ha una necessità non temporanea ma stabile, e quindi il datore di lavoro si troverebbe in una situazione di utilizzo illegale del contratto a termine. In Italia funziona così nel settore privato, ma non nel pubblico.
Il ministero dell’Istruzione e la magistratura (con una sentenza della Corte d’appello di Perugia dello scorso marzo) hanno sempre rifiutato questa interpretazione. Per i giudici umbri infatti, secondo Costituzione, nel pubblico si entra di ruolo solo “mediante concorso”. Stesso ragionamento ha fatto probabilmente il tribunale del lavoro di Bologna nei giorni scorsi, rigettando parte del ricorso dei 31 insegnanti, pur riconoscendo un rimborso.
Ad ogni modo il sindacato canta vittoria. Questa sentenza, scrive nel suo comunicato Cadoni “dovrebbe indurre il Ministero a prendere atto che le normative comunitarie impongono una politica” che “ponga termine a tutte quelle discriminazioni contrattuali che, finora, rendevano conveniente allo Stato assumere precari piuttosto che procedere alla loro stabilizzazione”. Ora dopo che sentenze simili sono state pronunciate a Milano, Genova, Livorno, Siena i soldi in ballo potrebbero far cambiare indurre il ministero guidato dal professor Francesco Profumo a ripensare la propria strategia.
Intanto, contro la sentenza emessa sotto le Due torri potrebbe esserci il ricorso in appello del Ministero. Il rischio potrebbe essere quello di pagare diversi miliardi di euro se sentenze simili si replicassero in tutta Italia.
Il Fatto Quotidiano 14.12.11