Forse un giorno questo dolore ci sarà utile. Non perché possa bastare l’austerità o perché la salvezza dell’Italia dipenda da quanto sudore e lacrime verseremo: più dei nostri compiti a casa, a decidere sarà l’esame di maturità che aspetta l’Europa tra domani e venerdì. Ciò che ha fatto il governo Monti è però una precondizione perché tre giocatori ben più decisivi, la signora Merkel, il signor Draghi e il signor Mercato, possano fare ciò che devono. L’Europa è chiamata al suo «momento Hamilton», chiedono a gran voce gli investitori. Il riferimento è al primo segretario al Tesoro dei neonati Stati Uniti d’America, leader dei «federalisti»: dopo una battaglia durata sei mesi riuscì a risolvere la crisi del debito pubblico facendo assumere al governo federale anche quello dei singoli Stati. Però anche allora c’era chi resisteva. Gli Stati-formica, più forti e meno indebitati, erano riluttanti a farsi tassare per ripagare i debiti degli Stati-cicala. Ci volle una contropartita. In cambio dei voti degli Stati virtuosi del Sud, Hamilton accettò che la capitale fosse spostata al Meridione, sul confine tra la Virginia e il Maryland: fu così, per una crisi del debito pubblico, che nacque Washington.
L’Europa non raggiungerà venerdì un compromesso simile, impossibile in un’Unione in cui si parlano 27 lingue diverse e i nostri padri si sparavano ancora addosso 66 anni fa. D’altra parte, se consideriamo che la capitale è in Belgio, il presidente della Commissione viene dal Portogallo e quello della Bce dall’Italia, bisogna ammettere che gli Stati-cicala in Europa non hanno finora ceduto molto. Ma la contropartita ora c’è, secondo l’intesa raggiunta da Merkel e Sarkozy: l’estensione di una ferrea disciplina di bilancio tedesca all’intera eurozona, con sanzioni automatiche e definitive per chi non è diligente nel praticarla, e l’obbligo del pareggio di bilancio scritto in Costituzione per ogni Paese membro.
Questo la Merkel chiama «fiscal union», unione fiscale, e cioè di bilancio; ed è ciò che Draghi aveva chiesto come «fiscal compact», patto fiscale. Avendolo ottenuto, tutti scommettono che ora la Bce romperà gli indugi e farà capire ai mercati che, in nome della «stabilità finanziaria», intende usare il suo immane arsenale per garantire liquidità a banche e governi. Dal canto suo, venerdì la signora Merkel darà il via al processo di revisione dei Trattati, che per i Paesi dell’eurozona sarà un prendere o lasciare, e che forse un giorno porterà davvero l’Europa a mettere in comune, oltre che la moneta, anche i debiti, visto che per ora gli eurobond restano un tabù per la Costituzione di Berlino. Ne uscirà dunque sicuramente un’Europa più tedesca; ma, d’altra parte, c’è alternativa? Anche chi in Italia, come la Lega, ha accusato fino a ieri Draghi e Monti di essere gli agenti della Germania, ora offre addirittura la Padania all’annessione della Germania, con Tremonti nel ruolo di ambasciatore.
Resta da vedere che cosa farà il signor Mercato. Stavolta ha voglia di fidarsi. Se già sta allentando il nodo scorsoio dei tassi di interesse sull’Italia, vuol dire che funziona il patto segreto raggiunto a Strasburgo, quando la Merkel garantì a Monti, in cambio dei «compiti a casa», che la Germania non avrebbe più protestato contro gli interventi da parte della Banca centrale. Ci sono del resto molte cose in Europa che si possono fare ma non si possono dire, e così sarà anche venerdì.
Ma questo è il «grande piano» che si sta definendo in queste ore e di cui Tim Geithner, inviato da Obama, verrà a controllare la corretta esecuzione. E anche se il diavolo è nei dettagli, e si tratta ormai del terzo o quarto «grande piano» che si cucina in Europa da quando è esplosa la crisi greca, e ognuno dei precedenti ha fallito, stavolta c’è una grossa novità. Capovolgendo la sciagurata intesa franco-tedesca di un anno fa a Deauville, la Germania ha rinunciato alla sua ossessione luterana secondo la quale anche i prestatori privati devono pagare il loro prezzo per salvare un Paese insolvibile, poi applicata al caso greco. Fu quell’haircut a mettere in fuga gli investitori e a convincerli che era pericoloso possedere titoli italiani e spagnoli. Questo ripensamento è solo un surrogato del «momento Hamilton»; ma è un modo di promettere che l’Europa ripagherà tutti i suoi debiti. Se il signor Mercato ci crede, allora anche il nostro dolore ci sarà stato utile.
Il Corriere della Sera 07.12.11