Forse l’incontro avverrà durante il fine settimana, prima della presentazione ufficiale lunedì mattina della cura di ferro che il presidente del Consiglio Mario Monti sta mettendo a punto per l’Italia. O forse saranno soltanto colloqui telefonici con i ministri, ma nel frattempo il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ribadisce la linea dei democratici. Non si discute l’appoggio al governo e «non si tratta di porre condizioni», come invece ha fatto «la destra»: si mandano segnali all’esecutivo perché è evidente «che non tutte le misure ci andranno bene al 100%», come è evidente che qualche boccone amaro bisognerà pur mandarlo giù, ma «il complesso degli interventi deve andare nella direzione di equità e crescita».
L’APPELLO ALL’EQUITÀ
Parlando dai microfoni di Youdem, ieri Bersani si è augurato che a Palazzo Chigi «non si rimanga sordi e disattenti» alle proposte del Nazareno, dalla lotta all’evasione, alle liberalizzazioni, alla patrimoniale. Insomma, pronti a discutere di pensioni, flessibilità in uscita da 63 a 68 di contributivo pro-rata (la proposta rilanciata ieri dal ministro Elsa Fornero), ma a un patto: «chi ha di più deve dare di più. Questo è il punto».
Nel giorno in cui Sergio Marchionne ri-annuncia che Fiat lascia l’Italia e la Banca di Inghilter-
ra si prepara al default dell’euro, Bersani dice che sì, «la questione è veramente seria, è necessario fare uno sforzo collettivo davanti al quale ognuno deve prendersi le sue responsabilità» e tuttavia le fasce sociali più deboli non possono essere chiamate ad ulteriori sacrifici che stavolta potrebbero non reggere. «Bisogna fare in modo che le misure, che non saranno indolori, siano il meno possibile recessive e quindi abbiano occhio a un’esigenza di consumi, redditi, situazioni più difficili, dei ceti popolari più ampi».
Nessun giudizio preventivo, per il resto, « perché fin qui si è discusso solo su supposizioni».
E se ieri il segretario di Rc Paolo Ferrero ha definito un «errore drammatico» del Pd l’aver appoggiato il governo Monti, chiamando Vendola a fare «opposizione costituente delle forze democratiche di sinistra», la risposta del leader di Sel sembra andare in tutt’altra direzione. «Non commento Bersani, lo condivido dice il governatore pugliese , il suo atteggiamento è condivisibile».
Condivide Bersani e la Cgil, perché è alle fasce più deboli che «dobbiamo dare gli ombrelli per ripararsi, altrimenti non ce la faranno ad affrontare i sacrifici». Nessun riferimento a Ferrero.
Ma è evidente che è questa la via stretta che dovrà percorrere il Pd: garantire l’appoggio al governo senza deludere elettori e militanti che chiedono tutele rispetto alle misure annunciate e trovare una sintesi per arrivare compatti in Aula. Sintesi a cui si è lavorato ieri sia al Nazareno, sia a Montecitorio, con incontri tra il responsabile Economia Stefano Fassina e i capigruppo nelle Commissioni lavoro e bilancio di Camera e Senato. Bocche cucite con i giornalisti dopo l’incontro al Nazareno, questa la linea montiana adottata dai democratici, ma indiscrezioni sono comunque arrivate. «Se le misure sono quelle annunciate in questi giorni sui quotidiani, sono socialmente insostenibili», è stato il commento della maggior parte dei partecipanti.
Bloccare l’adeguamento delle pensioni all’inflazione vorrebbe dire danneggiare pesantemente la fascia medio-bassa della popolazione, così come innalzare la soglia contributiva dei 40 anni per andare in pensione senza il vincolo dell’età non prevedendo degli incentivi vorrebbe dire «chiedere un ulteriore sacrificio senza dare alcun vantaggio ai fini pensionistici». A Montecitorio c’è anche chi avanzato l’ipotesi di presentare emendamenti, ma alla fine la linea è stata quella di aspettare di conoscere gli interventi e poi regolarsi di conseguenza. Su una cosa sono tutti d’accordo: no al blocco dell’adeguamento per le pensioni più basse. Più articolate le posizioni sulla soglia dei 40 anni.
Contrario Sergio D’Antoni che dice: «Siamo pronti a valutare le misure nel loro complesso, ma è evidente che devono mirare alla crescita, altrimenti non servirebbero a nulla», e comunque non è «pensabile mettere mano ad una riforma della previdenza saltando il confronto con le parti sociali». Sulla stessa linea Cesare Damiano: «Il sistema contributivo pro-rata può essere una strada da considerare, ma a patto, che le regole per la maturazione della pensione di anzianità restino invariate, soprattutto per la soglia dei 40 anni di contributi». Meno rigidi i lettiani, anche se Francesco Boccia ribadisce: non si possono toccare le pensioni se non arrivano «segnali sulla lotta all’evasione e una patrimoniale seria».
L’Unità 02.12.11