Decima posizione tra gli anni più caldi della storia per il 2011. E così sono tredici gli anni al top delle serie termometriche ad esser stati dopo il 1996, un segno inequivocabile della tendenza in atto al riscaldamento del pianeta.
È l’asciutto comunicato dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, l’agenzia delle Nazioni Unite che da Ginevra, dove ha sede in un avveniristico palazzo di vetro a risparmio energetico, simbolo concreto dell’impegno necessario alla riduzione delle emissioni clima lteranti, si rivolge alle diplomazie di tutto il mondo riunite a Durban alla diciassettesima conferenza mondiale sul clima. Nella città sudafricana i rappresentanti di 195 Paesi si confrontano ancora una volta per trovare una strada verso la sostenibilità ambientale e climatica. Il rapporto preliminare sull’andamento atmosferico globale dell’annata emesso dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale conferma l’urgenza delle scelte. Anche se mancano gli ultimi dati relativi a novembre e dicembre, i caratteri di questo 2011 sono ormai piuttosto delineati. E’ l’ennesimo anno più caldo della norma, con i primi dieci mesi che hanno registrato un’anomalia termica planetaria di +0,4 gradi collocando il periodo in decima posizione tra i più caldi dall’ inizio delle misure meteorologiche diffuse nel 1850.
Una situazione che ben difficilmente potrà essere ridimensionata in modo significativo nelle poche settimane rimanenti da qui a fine anno. E tutto ciò nonostante la «Niña», il periodico raffreddamento delle acque oceaniche al largo del Perù, che ha prevalso nei primi mesi del 2011 e che solitamente causa un temporaneo abbassamento delle temperature medie annue globali dell’ordine di 0,1-0,2 gradi. Si aggiunge così un altro punto nei grafici delle lunghe serie di dati termometrici, a confermare una tendenza al riscaldamento che preoccupa i climatologi di tutto il mondo.
Ma oltre al dato delle temperature planetarie, tra i più importanti per capire dove sta andando il clima terrestre, l’elenco di anomalie e fenomeni spesso devastanti che si sono susseguiti da un capo all’altro del mondo è impressionante: l’anno è cominciato con le epocali alluvioni di metà gennaio in Australia, Brasile e SudEst asiatico, mentre nel Corno d’Africa prendeva forma una siccità che nei mesi seguenti avrebbe trascinato nella carestia 13 milioni di persone, tutti eventi – questi – che i meteorologi attribuiscono almeno in parte agli effetti della Niña» più intensa dal 1974, e tra le più notevoli da 60 anni. Gli Stati Uniti hanno oscillato tra le nevicate straordinarie del Nord-Est (terzo inverno più nevoso dal 1869 a New York), l’estate più calda e secca da sempre negli Stati del Sud con gli incendi e le tempeste di sabbia in Texas, e l’uragano «Irene» che a fine agosto ha reclamato 48 vittime dai Caraibi alla East Coast. E ancora le tremende alluvioni autunnali in Thailandia, nonché il dato di estensione della banchisa artica in settembre, secondo più negativo dal 1979, e via dicendo fino ai nostri nubifragi mediterranei.
Queste anomalie, per quanto dannose e straordinarie, singolarmente non possono essere prese come indicatori inequivocabili di cambiamento climatico – i cui effetti sono meglio riconoscibili nel netto aumento termico – ma considerati nel loro insieme tutti questi eccessi non possono non preoccupare, e ben si inquadrano nelle previsioni di un’atmosfera futura più estrema delineate dai modelli di simulazione del clima. Ad aggravare il quadro c’è poi il fatto che il mondo attuale, stretto tra sovrappopolazione, inquinamento, crisi economica e diseguaglianze sociali, è via via più fragile di fronte alle bizze meteo-climatiche.
E se a noi certi problemipaionolontani, già ne sanno qualcosa le popolazioni dell’Artico, che vedono sprofondare strade e case insieme al permafrost in fusione, o gli abitanti di certi quartieri di Giacarta, allagati dall’impercettibile ma inesorabile risalita delle acque oceaniche. La firma delle attività umane in buona parte di tali cambiamenti è ormai riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, ma ancora non si intravede un’efficace e coordinata risposta globale, tanto che ormai siamo probabilmente fuori tempo per contenere il riscaldamento entro la soglia critica dei 2 gradi al 2100. Anno dopo anno prende dunque importanza la necessità di adattarsi a un clima diverso e nuovo, e anche di questo si parla a Durban. Speriamo che alle parole seguano una buona volta anche i fatti.
La Stampa 30.11.11