Due settimane dopo il giuramento del nuovo esecutivo, la scena assomiglia a un quadro stralunato di Picasso. C’è il governo, non c’è il sottogoverno. Per designare 25 sottosegretari e 5 viceministri (o non saranno 8? Nel buio delle notizie anche i numeri brillano a casaccio), s’aprono estenuanti trattative fra i partiti e il premier. Non con tutti, però, e sempre in gran segreto: tanto da consumare un vertice notturno attraverso il tunnel sotterraneo che collega palazzo Madama a palazzo Giustiniani. L’unico dato certo è che i pretendenti sono almeno il triplo rispetto alle poltrone. Anzi no, sappiamo pure come si chiama lo strumento che districherà questa matassa. Manuale Cencelli: 40% dei posti al Pdl, 40% al Pd, 20% all’Udc. Ma nel frattempo le Camere vivono in un limbo, perché senza sottosegretari le commissioni parlamentari sono paralizzate. Eppure non mancherebbe affatto il lavoro da smaltire.
Prima Repubblica? No, impero di Bisanzio. E suona in sé paradossale che un esecutivo nominato a spron battuto dal capo dello Stato, strada facendo sia diventato un lumacone. Che il governo delle decisioni rapide, dei rimedi tempestivi dinanzi alla crisi dei mercati, mostri in pubblico la stessa paresi facciale esibita dal governo Berlusconi. Che sia caduto ostaggio dei veti incrociati dei partiti, tal quale il suo predecessore. Che ancora s’arrovelli sul profilo tecnico o politico dei vicecomandanti. A sprezzo della logica, se non della politica. Perché un gabinetto senza nessun parlamentare fra i ministri, non può offrire vitto e alloggio a parlamentari di seconda fila. Sarebbe una creatura anfibia, e sarebbe inoltre la prova provata che i politici sono buoni soltanto come maggiordomi.
In tutte queste esitazioni del governo Monti gioca senz’altro l’inesperienza dei suoi componenti. Si può capire, il guaio è che non lo capiscono i mercati. Gioca altresì — è stato osservato da più parti — un deficit di comunicazione del nuovo esecutivo. Errore: se non decidi, poi non hai un piffero da comunicare. E d’altronde l’afonia è pur sempre il primo effetto delle paralisi facciali. Ma il bello è che l’indecisione è figlia della prima decisione del governo: quella di rapportarsi al Parlamento, d’imbastire scelte condivise. Giusto, le istituzioni vanno rispettate. Sennonché Monti ha cercato il Parlamento e ha trovato gli uffici dei partiti. Nulla di strano, stanno lì da tanto tempo: da quando Mortati, nel 1952, denunciava lo svuotamento delle assemblee legislative, rimpiazzate per l’appunto dai partiti. E i partiti, come sempre, pongono altolà, condizioni che s’annullano a vicenda. Un freno a mano sul motore del governo.
Questo freno dipende dalla nuova bussola che sta orientando il gabinetto Monti: dalla Costituzione formale a quella materiale. C’era la prima, c’era l’articolo 92 della nostra vecchia Carta, nella decisione solitaria di Napolitano circa la nomina di Monti, nella decisione solitaria di Monti circa la scelta dei ministri. C’è la seconda, risuonano tutte le degenerazioni della prassi, nei negoziati sugli strapuntini di governo. Ma se il problema è questo, ci vuol poco a mettervi rimedio. Intanto con maggiore trasparenza nelle decisioni: che è sempre una virtù costituzionale, ma si trasforma in obbligo per un esecutivo orfano di legittimazione popolare, la cui legittimità quindi riposa sulla chiarezza con cui maturano i suoi provvedimenti. E in secondo luogo applicando un principio aureo dello Stato di diritto: il principio di responsabilità. Perché se ogni scelta ha fin troppi padrini, non ne risponde più nessuno. Sicché il governo si impegni a decidere, il Parlamento (non i partiti) discuta poi le deliberazioni prese. A ciascuno il suo mestiere.
Il Corriere della Sera 27.11.11
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“Il ritardo in casa del professore”, di Roberto Napoletano
Spiace dirlo. La delicatezza della situazione imponeva che il Consiglio dei ministri di ieri, presieduto dal professor Mario Monti, varasse il decreto sulle misure anti-crisi e desse il via libera alla nomina di vice-ministri e sottosegretari che sanciscono la pienezza dei suoi poteri. Purtroppo, non ci sono né il decreto né le nomine. Siamo ben consapevoli che i mercati stanno scommettendo su qualcosa che non è congruente con i fondamentali del Paese, i tassi non sono un riflesso ragionevole della condizione corrente e delle prospettive dell’Italia.
Siamo ben consapevoli che questa situazione di estrema, ulteriore fibrillazione, è figlia della grande paura dei mercati sull’euro e che l’Italia ne è la vittima non più il capro espiatorio. Deve essere, però, chiaro a tutti che il vertice a tre – Merkel, Sarkozy, Monti – è andato molto bene per il presidente del Consiglio italiano (siamo contenti perché ci rappresenta) ma molto male per l’Italia e, soprattutto, per l’Europa perché i veti tedeschi non sono stati scalfiti in nulla. Siamo ben consapevoli che è in corso una nobile gara, tra Capi di governo e di Stato e uomini delle istituzioni europee, a ribadire con forza che le “priorità” indicate dal governo Monti sono quelle giuste e a rimarcare che l’agenda dei tempi è addirittura accelerata. Noi ci permettiamo di sottolineare che l’asta dei BoT a sei mesi si è conclusa con una piena sottoscrizione, ma a tassi da “usura” pari al 6,5% e che i BTp a due anni, sul mercato secondario, sono volati al nuovo record dell’8%. Parliamoci chiaro: l’Italia può sostenere tassi così alti, ma solo per un certo periodo, s
Giovedì dieci novembre Il Sole 24 Ore, dopo una giornata che ha segnato il massimo storico del differenziale di spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi, ha lanciato un appello: fate presto. Ha chiesto che la politica scegliesse di sostenere una compagine di governo competente e credibile in nome della causa italiana, perché ci tirasse fuori da un lungo processo di logoramento politico e civile e, soprattutto, perché desse agli italiani, in tempo reale, la cura scomoda ma necessaria per ricostituire la fiducia del mondo sull’Italia. Nessuno si dimentichi che viviamo pericolosamente, molto pericolosamente. Il risparmio e il lavoro degli italiani restano in gioco come prima, più di prima, si è solo ridotta l’anomalia di quei cento e passa punti di differenziale rispetto alla Spagna. Siamo contenti che sia stato accolto il nostro appello a fare presto, ma l’urgenza della qualità dell’azione di chi è stato chiamato a raccoglierlo diventa, giorno dopo giorno, sempre più inderogabile. Il tempo che ci è stato dato, è scaduto da un po’, si è perso colpevolmente un anno.
L’isteria dei mercati è una brutta bestia, bisogna fare di tutto perché si torni a comprare titoli italiani a tassi più bassi.
Monti e la sua maggioranza politica ne sono consapevoli, agiscano allora di conseguenza. Il quesito drammatico di oggi è se il giusto e necessario (ancora da venire) sarà anche sufficiente. Noi riteniamo che sia importante tradurre in fatti le promesse, e farlo bene, evitando pasticci e ripensamenti, assicurando solide basi normative alle singole misure. Gli italiani sono oggi più consapevoli di ieri della gravità della crisi europea e di quella italiana. La politica sappia dare, in casa nostra, le risposte giuste.
Questo renderà fuori più autorevole il nostro governo e favorirà il rafforzamento della partecipazione europea. I vincoli ci sono, è vero, ma la Bce farà comunque rilevanti operazioni di liquidità. La Merkel non è Kohl e, purtroppo, non perde giorno per dimostrarlo. L’Italia, con Monti, può svolgere un ruolo significativo perché l’Europa diventi più politica, aumenti le sue munizioni finanziarie, sciolga le paure sull’euro e spenga sul nascere la malattia del contagio. Bisogna, però, che sia un Monti legittimato dall’azione di governo, non dal credito internazionale personale. Se non dimostra di sapere affrontare l’urgenza italiana, diventano nulle le possibilità di dare un contributo vero per risolvere l’urgenza europea. La seconda è più importante della prima, ma si deve partire da casa. Se crolliamo noi, crolla tutto. A quel punto, non sarà molto importante capire di chi è la colpa, si conteranno solo le macerie.
Il Sole 24 Ore 27.11.11