È urgente attendere», recita un motto della diplomazia inglese citato ieri su Twitter dal vignettista Massimo Bucchi.
La contraddizione tra due necessità, quella dell’urgenza e quella dell’attesa, può rappresentare perfettamente lo stato d’animo che anima oggi molti italiani.
Quando è caduto il governo Berlusconi abbiamo ripetuto tutti che non c’era tempo da perdere, perché l’Italia non poteva sopportare tassi di interesse superiori al 7 per cento, uno spread di oltre 500 punti e la mancanza di ricette chiare per uscire dalla crisi.
Gli italiani hanno capito, la percezione del senso del dramma è stata talmente avvertita che molti si aspettavano l’immediato varo di misure drastiche di taglio della spesa. Addirittura due domeniche fa si era arrivati a immaginare che la nomina di Monti e l’immediata formazione del governo potessero essere seguite da un decreto – da varare prima della riapertura dei mercati del lunedì – contenente, a scelta, la patrimoniale, la reintroduzione dell’Ici o perfino un prelievo forzoso sui conti correnti del tipo fatto da Giuliano Amato nel 1992.
D’altronde, era il ragionamento di molti, un governo formato da tecnici di questa levatura e guidato da una persona come Mario Monti ha ben chiare in testa le misure necessarie e può agire con grande celerità e precisione.
Sono passate due settimane e la situazione economica non è migliorata, anzi è decisamente peggiorata, perché si è aggravata l’Europa intera e ora la bufera investe tutto il Continente. Ieri le nostre aste di titoli pubblici sono state definite dal Financial Times «orribili»: per piazzare titoli semestrali siamo stati costretti a offrire un tasso del 6,5 per cento, quasi il doppio rispetto al collocamento precedente e il certificato a due anni punta verso l’otto per cento, siamo ai valori record dall’introduzione dell’euro.
Dal governo, che ha scelto l’apprezzabile strada del riserbo, non si sa quando verranno varati gli interventi attesi, tanto che le uniche indicazioni sui tempi arrivano da poche battute rilasciate al termine del Consiglio dei ministri, da cui si capisce che ci vorranno almeno altre due settimane, non prima quindi di metà dicembre. Il momento cruciale, la scadenza prevista sembra ora essere quella del Consiglio europeo che si terrà l’8 del prossimo mese.
Molti italiani, a cui è stato detto e ripetuto che in una situazione così difficile agire con urgenza è un valore, cominciano a avere una sensazione di smarrimento e a provare un’ansia crescente. Si sarebbe tentati di ripetere: «Fate in fretta».
Dall’altra parte, e qui ci torna utile il motto «è urgente attendere», abbiamo visto come le due manovre varate di corsa dal governo Berlusconi alla fine dell’estate e in autunno non abbiano portato nessun beneficio, perché non inserite in un piano di sviluppo credibile e perché prive di autorevolezza.
Si potrebbe allora pensare che lo studio e l’approfondimento a cui si sta dedicando il nuovo governo siano finalizzati a costruire un pacchetto di misure che sia forte e definitivo, che indichi con chiarezza una direzione e non imponga di essere corretto poco dopo. E che sia anche equo e riesca non solo a tagliare i costi ma anche a rilanciare la crescita.
Essere capaci di attendere per poter fare le cose per bene è una dote dei forti e dei coraggiosi, ma nella società dell’immagine e della comunicazione non possono essere sottovalutate le reazioni dell’opinione pubblica.
Il governo Monti oggi non solo gode della fiducia e della stima della maggioranza degli italiani, ma può anche far leva sulla consapevolezza del momento di crisi per far passare (e far digerire) misure altrimenti considerate impopolari. Questa finestra di opportunità non starà però aperta ancora per molto, tanto che si cominciano a sentire persone che si «tranquillizzano», pensando che forse l’urgenza era eccessiva e che alla fine non saranno richiesti grandi sacrifici.
Nello stesso tempo la politica e i partiti sono portati a ricominciare ad occupare gli spazi che gli erano propri, basti pensare che la nomina dei sottosegretari è stata ancora rinviata.
Le misure impopolari, per i cittadini ma anche per la «casta», non possono essere rinviate troppo a lungo, perché ogni giorno che passa troveranno sempre più avversari e freni.
Il governo prenda in mano il Paese e mandi segnali forti e soprattutto spieghi. Sacrosanto non prestarsi al pettegolezzo politico e alle risse televisive, ma pericoloso non parlare agli italiani, non ripetere loro con chiarezza la gravità della situazione e la necessità di cambiare.
PS: Mario Monti governa con un Parlamento eletto più di tre anni fa e con forze politiche non dipendenti da lui, è naturale che incontri i leader dei partiti, che debba discutere con loro i provvedimenti da prendere, non si capisce perché questo vada fatto in maniera talmente riservata da sembrare nascosta. Perché non incontrarsi a Palazzo Chigi alla luce del sole ma rifugiarsi a tarda sera a Palazzo Giustiniani, che i leader politici possono raggiungere passando da un corridoio sotterraneo del Senato? Qual è l’imbarazzo? E di chi? I partiti farebbero bene a far vedere che collaborano, che si muovono di concerto col governo e anche tra loro: in una situazione così drammatica agire d’intesa tra tutti è cosa nobile e non certo di cui vergognarsi.
L’Italia ha bisogno di velocità, credibilità ma anche di trasparenza e comunicazione, e tutti sperano che questa sia la volta buona.
La Stampa 26.11.11