A pochi giorni dall’insediamento, i sondaggi di opinione confermano la percezione di un grande consenso nei confronti del governo Monti. Una fiducia che investe anche i partiti e i leader che lo sostengono maggiormente, e che tra i militanti del Pd è quasi unanime, sfiorando il 95%.
Liberare pacificamente l’Italia da Berlusconi, riportarla nel consesso internazionale, far ripartire la crescita e ricostruire un tessuto civile fatto di regole ed equità: risultati in parte già conseguiti, in gran parte auspici da mutare in realtà.
Parlamento, cittadini, attori politici e sociali, sono i protagonisti di un processo che solo chi ignora la democrazia parlamentare definisce sconfitta della politica. Le forze politiche e parlamentari possono autonomamente – come ha osservato Nadia Urbinati – sostenere e giudicare l’operato di un governo il quale, pur non composto da politici di professione, realizza un programma politico.
I prossimi mesi muteranno, oltre che il destino del paese, l’assetto politico futuro: ecco la sfida del Pd. L’alternativa è secca: crederci o non crederci. Incidere sulle scelte, ed essere così – per dirla con Bersani – «il partito del secolo», o limitarci alla logica del “governo amico”.
Bersani ha fatto chiarezza e ha unito il partito: il riflesso pavloviano di giocare in difesa è stato rapidamente archiviato. Quanti hanno coltivato questa tentazione – considerando il governo prima un pericolo per la democrazia, poi un esecutivo di emergenza a scadenza – hanno mutato opinione, mostrando flessibilità e realismo.
Ora dobbiamo essere coerenti. Salvare l’Italia significa entrare nel merito. L’Europa, prima di tutto: Monti ci ha ricordato che non è un’entità astratta, ma «siamo noi». Dobbiamo cambiarla, lo sappiamo: ma l’unione politica si basa sul consenso dei governi e dei cittadini, che dobbiamo ricercare con pazienza, riscoprendo la nostra migliore tradizione europeista.
Secondo, lo stato sociale: su welfare e mercato del lavoro servono coraggio, pragmatismo, apertura. Coraggio sulle pensioni, senza toccare i lavori usuranti e gli operai, puntando sul riequilibrio generazionale. Pragmatismo per un diritto unico del lavoro per i nuovi lavoratori, e partire dall’accordo del 28 giugno sulla contrattazione decentrata. Cerchiamo un accordo, anzitutto tra le parti sociali, per abbandonare le contrapposizioni che finora hanno avuto un unico esito: l’iniquità.
Nel Pd possiamo – basta leggere l’approccio e le proposte di Tiziano Treu – trovare un compromesso ragionevole che superi le caricature reciproche. Più in generale, dobbiamo aggiornare il metodo: seguiamo l’esempio di Bersani, e soprattutto chi tra noi ha responsabilità dirigenti abbandoni i protagonismi sterili e lavori per unire. Così faremmo per il Pd ciò che il Pd sta facendo per l’Italia: mettere in prima linea l’interesse generale. Non siamo più all’opposizione: diventiamo un cantiere di proposte di governo, e di raccordo tra esso, il parlamento e il partito, per parlare a tutti gli italiani.
Nel sostenere il governo dobbiamo essere l’interlocutore privilegiato dei fermenti sociali, sapendo che il dialogo è nella natura del Pd. L’Italia civile ha detto basta al potere satrapico di Berlusconi, dall’impegno del mondo cattolico, ai giovani, ai movimenti delle donne: il Pd, che ha chiesto le sue dimissioni in tempi non sospetti, non vuole dare la patente a chi è arrivato prima, ma dialogare con tutti e guardare avanti.
Ciò che faremo in questi mesi aggiornerà l’identità del partito e le alleanze. I dubbi di Di Pietro e di Vendola non sono buoni segnali, speriamo siano passeggeri.
Dobbiamo rappresentare, noi stessi e nel quadro delle alleanze, la grande forza dell’Italia operosa, interclassista, onesta, impoverita ma che ha fiducia. Così potremo diventare un partito del 40 per cento e relegare le destre all’isolamento populista. Così potremo consolidare le riforme profonde che il governo Monti avvierà, e che stanno nel nostro dna.
I nostri valori fondativi sono la nostra bussola: non siamo nati per essere un partito laburista, ma siamo democratici per la vocazione di rappresentare la sinistra di governo e il centro popolare. Crediamo anzitutto nella persona e nella sussidiarietà, nello sviluppo sostenibile, nel lavoro, nei diritti e nella responsabilità.
Crediamo in un’Italia sobria e competente, dove studio e onestà siano motori di mobilità sociale. Senza pretese astratte di autonomia, pensiamo che la politica abbia la vocazione della coesione. Il Pd nasce per dare rappresentanza soprattutto ai più deboli e a chi non ha voce, a partire dai giovani. Sappiamo che per farlo dobbiamo ricostruire lo stato, e dire ai cittadini la verità.
da Europa Quotidiano 24.11.11