La foto del neoministro dell’istruzione Francesco Profumo affiancato al logo Unicredit (che rimanda al suo omonimo Alessandro, ex amministratore delegato). Il sincretismo di uno dei cartelli che si sono visti giovedì nelle proteste degli studenti dice tutto sul mood che anima le piazze: i due pari sono, stesso orientamento, stesso brodo di cultura.
La mai sopportata Gelmini viene sostituita senza colpo ferire dal governo delle élite tecno-finanziarie a cui si ascrive a pieno titolo l’ex rettore del Politecnico di Torino e poi presidente del Cnr. Per non parlare del neopremier Mario Monti, su cui grava il peccato originale di aver sostenuto e di continuare a sostenere – anche nel suo discorso programmatico – la riforma Gelmini.
«Ha detto che continuerà l’iter dei decreti attuativi della riforma. Ma come? Non aveva appena detto che bisognava partire dai giovani? E allora perché ostinarsi con una riforma contestata in maniera praticamente unanime da studenti e ricercatori? Perché non fermare quell’iter e ricominciare da capo, chiedendo magari a chi vive l’università di dire la sua?», si legge sul sito dell’Unione degli studenti, rilanciato dalla rete Link.
Monti come Draghi, più di Draghi. Quando qualche settimana fa il presidente della Bce ribadì che le prime vittime della crisi erano i giovani, nelle piazze si battezzarono i Draghiribelli.
E nel giorno in cui Monti mette in testa alle priorità del suo governo proprio i ragazzi – «minori sono le opportunità per i giovani», ha detto il presidente del consiglio, «più basse sono le possibilità di crescita di un paese» – negli slogan delle manifestazioni risuonava tutta la sfiducia in ciò che viene letto come continuità. Ieri il neopremier ha spiegato di confidare che i giovani sapranno riconoscere gli atti concreti che il governo farà per loro.
Ma rimane tutto, insieme al pregiudizio sui tecnocrati, il peccato originale del far propria la riforma di un ministro dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, che è diventata un simbolo: ideologia molta, competenza traballante (a tratti incompetenza deflagrante come nell’incidente sui neutrini), titolare di una legge sull’università che ha finito per diventare più un adeguamento del sistema ai tagli di Tremonti che l’annunciata rivoluzione copernicana anti-baroni e anti-clientele.
Alla sua piena applicazione mancano ancora oltre 30 decreti attuativi su 47. Monti ha già annunciato che si dovrà proseguire nell’iter, «dando rigorosa attuazione ai meccanismi di incentivazione basati sulla valutazione». Linea condivisa dal titolare del Miur Profumo, che si è però detto aperto all’ascolto: «Parlerò a studenti e ricercatori e a chi lavora nell’istruzione per capirne desideri, incertezze, difficoltà».
Ma Profumo non è Gelmini. Per sei anni rettore del Politecnico di Torino, ne ha fatto una delle migliori università italiane. Potenziando il melting pot fra studenti, rendendo strutturale il rapporto – importante ma non invadente per l’autonomia dell’istituto – con le imprese per lo sviluppo della ricerca e la crescita delle start up e dei brevetti.
Un modello che, prima di incappare nella telefonata di Monti che lo chiamava in servizio, intendeva applicare al Cnr alla cui presidenza proprio Gelmini l’ha nominato in estate. Le risorse sono poche, ma si possono trovare, dice. Il punto è «ridisegnare la relazione tra ricerca, formazione e sistema delle imprese».
Ovunque sia stato ha fatto la differenza, può farla anche per l’università italiana. Magari anche con più consenso da parte degli studenti, se decidesse di inaugurare, in discontinuità con Maria Stella, una stagione di dialogo autentico con chi per ora lo contesta a prescindere.
da Europa Quotidiano 19.11.11