Il compito che ieri attendeva Monti non era agevole. Poteva cavarsela con le civetterie di un novizio che finge estraneità ai riti della politica. O accentuare il distacco del tecnico che rimarca l’emergenza snocciolando sconfortanti cifre. E invece, a parte qualche inglesismo di troppo, nei toni, nelle citazioni (di chiara impronta cattolico-liberale: De Gasperi,
Adenauer, Schuman) quello di Palazzo Madama è apparso un intervento con un severo senso dello Stato e pervaso persino da una dimestichezza con la politica che sembra una acquisizione antica.
Monti non ha portato la cassetta degli attrezzi pronta per
l’uso, a dispetto di ogni realtà recalcitrante. E questa immersione nella politica con il realismo di chi è consapevole delle resistenze è senz’altro un buon segnale. Vuol dire che egli saprà mediare se necessario, imporsi o adattarsi, se lo richiedono le circostanze. Per il momento, si mette sotto l’ombrello protettivo del capo dello Stato, riconosciuto come la fonte essenziale del suo mandato di governo. Non tarderanno le occasioni per navigare in mare
aperto. Senza per questo limentare le fantasie maniacali dei retroscenisti che sanno solo chiedersi se il professore coltivi o meno in cuor suo sogni di leadership futura.
Le parole di Monti sono consce della politicità intrinseca a un passaggio tecnico-storico che egli intende gestire con uno spirito di servizio. Per questo nulla sembra più distante dalle sue corde del chiacchiericcio del partito dei carini, come l’ha chiamato Crozza, che cavalca vani sogni di grandezza e spara a zero sulla politica.
Monti non contrappone affatto il governo tecnico o, come preferisce chiamarlo, «il governo di impegno nazionale», alle forze politiche, verso cui lancia anzi segnali di rispetto.
Accanto ai partiti chiamati a costruire le reti di «una coesione sociale e territoriale», Monti reclama la funzione del parlamento descritto come «lo snodo decisivo» per una
riattivazione dei canali della mediazione tra società e Stato. Invertendo la rotta, il parlamento deve essere il «cuore pulsante» di una democrazia che restituisca alle camere «dignità, credibilità, autorevolezza». Pur auspicando
riforme istituzionali necessarie (chi lo nega?) per «contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi», Monti non si è accodato ai tanti rampolli dei poteri forti che scaricano munizioni contro i partiti.
Sa bene che la riuscita del suo tentativo di combattere l’emergenza dipende dalla salute dei partiti. Per questo è necessario che la politica venga «riconosciuta come il motore del progresso del Paese». Monti respinge il conformismo dell’antipolitica che ha portato nel baratro. Un grande partito non teme certo un governo tecnico quando riflette sui pensieri lunghi e contribuisce così a ridare dignità alla politica.
L’unità 18.11.11