Fare una classe di bravi e una di somari oppure due classi miste, dove la pupa e il secchione sono vicini di banco? E ancora: mettere nella sezione A tutti i ragazzi di (presunta) buona famiglia e nella sezione B quelli con provenienza meno pregiata oppure seguire la regola della nonna, di tutto un po’? Non sono questioni accademiche ma le domande che tolgono il sonno a presidi, insegnanti e soprattutto genitori, preoccupati di trovare non solo la scuola giusta ma anche la sezione migliore.
In realtà la regola del «di tutto un po’» non porta la firma solo della nonna ma anche della legge italiana che invita a rispettare il principio dell’equi-eterogeneità. E cioè formare classi che siano il più possibile differenziate al loro interno e quindi simili fra loro. Pupe e secchioni per tutti, come ricchi e poveri, italiani e stranieri e così via. Ma questa regola viene spesso ignorata, come dimostra una ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli. Ed è un peccato perché così le classi funzionano peggio. Non solo per le pupe ma anche per i secchioni, visto che è il rendimento generale a perdere colpi.
Lo studio della Fondazione Agnelli, piccolo tassello del rapporto annuale che sarà presentato il 29 novembre a Roma, si concentra sulla formazione delle sezioni di prima media. I ricercatori hanno costruito un indice che misura il grado di varietà all’interno della classi per ogni provincia. E l’hanno confrontato con i risultati dell’Invalsi, i test uguali per tutti gli studenti che servono a misurare in modo obiettivo il livello degli studenti. Il risultato è una linea retta: più le classi mischiano al loro interno pupe e secchioni, più i risultati generali della classe migliorano. Come mai? «Alcuni pensano — dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli — che a scuola si impari solo dagli insegnanti o dai libri. E invece si impara, moltissimo, anche dai compagni».
Ora, è chiaro che una sezione di soli somari fatichi a migliorare: manca il traino dei primi della classe e alla fine pure gli insegnanti possono arrendersi, considerarla una causa persa. Ma perché anche i migliori, se chiusi nel loro mondo, rischiano di fermarsi? «Un po’ — dice ancora il direttore della Fondazione — è il cosiddetto effetto tetto. Se tutti sono già ad un livello alto diventa difficile fare progressi». Ma c’è un altro motivo, più importante: «Gli atteggiamenti competitivi possono prendere il sopravvento su quelli cooperativi, la rivalità sulla propensione a lavorare in gruppo». E questa è una perdita per tutti, non solo per chi non viene aiutato ma anche per chi non aiuta. Parliamo di ragazzini di 12 anni, del resto, e a quell’età imparare a stare con gli altri è forse più importante che prendere buoni voti. Gli studiosi della Fondazione Agnelli — guidati da Gerard Ferrer Esteban — sono arrivati alla conclusione che l’abitudine di separare pupe e secchioni è più frequente al Sud che al Nord, anche se in cima alla classifica, a sorpresa, c’è Piacenza. «Forse in alcune zone del Mezzogiorno — dice Gavosto — c’è una maggiore permeabilità dei presidi alle richieste pressanti delle famiglie. In altri casi si usa il sorteggio ma i genitori non dicono niente». Forse hanno ragione loro.
Il Corriere della Sera 16.11.11