Ci risiamo. Per capire che aria tira basta fare un giro nelle strade dello shopping di Milano, con quelle vetrine luccicanti e opulente che si offrono compiaciute al cliente sempre più riottoso. Si moltiplicano le offerte “da non perdere” di negozi, grandi magazzini, gruppi di commercianti, “firme”. Non si sono mai viste le promozioni quando manca più di un mese a Natale.Il calo del consumi è misurato in circa il 25% e tutti cercano di salvarsi. Ci sono i commercianti che praticano uno sconto del 10% sul listino, c’è il nome storico americano che a chi compra due capi di abbigliamento pratica una riduzione del 50% su uno dei due, un’altra grande catena offre un taglio del 30% sui suoi ultimi prodotti. È insomma una stagione di saldi in autunno. Un autunno difficile non solo l’Italia, anche per altri paesi che vorrebbero farci la lezioncina, ma certo la nostra situazione è talmente delicata che forse solo un governo d’emergenza può essere così temerario da affrontarla. Se «non si vende un tubo» come si lamentano pubblicamente i commercianti è perchè le famiglie fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese, soldi non ce ne sono e la crisi mostra segni di ulteriore peggioramento. I consumi scendono, i redditi calanoe l’inflazione continua a crescere negli ultimi mesi. Dalla primavera stiamo vivendo quel brutto fenomeno che vede la produzione e i consumi scendere, mentre i prezzi salgono. Magari gli italiani non comprano le scarpe ai figli o non cambiano il cappotto perchè vanno tutti al ristorante, dove non si trova mai posto secondo le valutazioni di Silvio Berlusconi, mala realtà offre ogni giorno notizie sempre più preoccupanti. C’è, infatti, un aspetto dell’emergenza nazionale che travalica lo spread, che pur è il termometro che misura la gravità della nostra malattia. A dar retta agli economisti e agli osservatori esteri si profila per noi non solo un’altra recessione ma anche una nuova tensione sul fronte sociale che viene ancora investito da processi di ristrutturazione, di riorganizzazione delle imprese industriali, dei servizi, del credito. La cronaca è tornata a riempirsi di notizie di chiusure, licenziamenti e cassa integrazione. La Fiat ha pensato bene di interrompere con un mese di anticipo la produzione di Termini Imerese sulla scadenza già annunciata del 31 dicembre. Già che c’era ha comunicato anche la definitiva chiusura di quel che resta di Arese con l’ultimo centinaio di mohicani che si devono arrangiare. Deve essere questo il contributo alla distensione offerto da Sergio Marchionne al Paese in questo momento difficile. Ma ovunque ci si giri è un guaio. La Whirpool, multinazionale dell’industria del “bianco”, che a Varese ha il suo quartier generale chiude e taglia mille dipendenti. I cittadini di Varese sono dei santi a non reagire,ma c’è da chiedersi come hanno fatto a credere alle balle raccontate dai generali della Lega, Bossi, Maroni, Giorgetti, mentre Malpensa tagliava voli e occupati e si perdevano migliaia di posti sul territorio. Non si salvano nemmeno il credito e i servizi. L’Unicredit ha appena annunciato la riduzione di altri 5200dipendenti. Nel settore bancario sono già andati perduti oltre 30mila posti. Ci fosse uno straccio di politica industriale almeno si potrebbe cercare di rintuzzare questa crisi con qualche idea, la concentrazione dei pochi investimenti su alcuni settori. L’agroalimentare? L’energia? La meccanica? La chimica? Cos’è strategico per il nostro Paese? Non si sa. Ci siamo giocati in questi mesi la Parmalat e la Edison senza che nessuno muovesse un dito. Oggi, dopo aver perso circa mezzo milione di posti mentre altrettanti lavoratori sono stati coinvolti nei processi di cassa integrazione strumento che ha bisogno di essere rifinanziato, non serve più a nulla lamentarsi dei ritardi e della sottovalutazione della crisi da parte del centrodestra. C’è solo da augurarsi che il nuovo governo prenda di petto questa situazione cercando di dotare il Paese di una coraggiosa politica industriale per far ripartire l’economia. Altrimenti sarà arduo anche raggiungere gli obiettivi del pareggio di bilancio e della riduzione del debito.
L’Unità 15.11.11