Nasce il governo del riscatto e dell´equità, per uscire dall´emergenza e recuperare la fiducia dei mercati, dell´Europa, dei cittadini. È l´impegno che si sono scambiati ieri Giorgio Napolitano e Mario Monti, nel momento in cui il Capo dello Stato – condotte a tempo di record le consultazioni – ha affidato al professore l´incarico di formare il governo che guiderà l´Italia nel dopo-Berlusconi. La crisi preme ma tono e forma ieri al Quirinale hanno segnato un cambio d´epoca, non solo di governo. Nessun sorriso, molta preoccupazione: ma anche la convinzione che l´Italia possa farcela, e il ritorno a concetti come “dignità”, “scrupolo”, “servizio”, soprattutto “responsabilità” e “bene comune”. Cambiano i protagonisti cambia il lessico e il contesto, con una svolta culturale e concettuale, dunque politica, che non poteva essere più netta.
È un governo del Presidente, il ministero Monti, perché il Capo dello Stato ha cercato in tutti i modi di evitare il vuoto politico di una campagna elettorale in un Paese che da oggi ad aprile – come ha ricordato ieri – dovrà ricollocare sul mercato 200 miliardi di buoni del Tesoro che andranno in scadenza: e per farlo ha voluto affidarsi a un uomo fuori dalla mischia, la cui competenza è nota a tutta l´Europa.
Ma è un governo che nasce nel pieno rispetto per il Parlamento e per i partiti, cui Napolitano e Monti si rivolgono per trovare sostegno a quello «sforzo straordinario» richiesto dall´emergenza, senza perdere altro tempo in «rivalse faziose» o «sterili recriminazioni».
Basta dunque con lo scontro furioso dell´era berlusconiana, ormai conclusa. Napolitano chiama a concorrere alla salvezza del Paese sia i vincitori del 2008, ricordando loro che in questi anni la maggioranza si è divisa e ridotta nei numeri, sia l´opposizione, garantendo che il governo Monti non sarà un ribaltone né una cancellazione dell´alternanza: ma un gabinetto d´emergenza, che unisce forze diverse per salvare l´Italia, nell´attesa che possa ripartire il confronto a tutto campo tra partiti e schieramenti, una volta che il Paese sia tornato in condizioni di sicurezza.
Mentre ricordavano l´urgenza della crisi, Monti e Napolitano hanno sottolineato due impegni, oltre al risanamento finanziario per riportare i conti sotto controllo: la crescita e l´equità sociale. «Lo dobbiamo ai nostri figli – ha spiegato Monti – che hanno diritto ad un futuro di dignità e speranza».
Proprio in questo spazio tra i sacrifici e l´equità, tra le misure europee di risanamento e la ricerca di un percorso di crescita e lavoro, sta lo spazio “politico” in cui si giocherà la qualità dell´esperimento legato al nome di Mario Monti. Il professore è stato scelto come la guida più autorevole e meno parziale per uno schieramento di necessità, che vede insieme forze divise per quasi vent´anni in Parlamento e nel Paese. E anche perché la sua competenza e il suo rigore possono rassicurare le istituzioni europee e i mercati, dopo la crisi verticale di credibilità del ministero Berlusconi.
Ma Monti da oggi, con l´incarico del Quirinale, non è un supercontrollore dei conti, nemmeno un emissario di Bruxelles o un legato di Francoforte. È un Capo di governo che ha una missione urgentissima e prioritaria (uscire dall´emergenza finanziaria), e tuttavia ha e deve avere anche l´ambizione di una politica per il Paese. Non solo i numeri e gli spread, dunque, non soltanto la logica – indispensabile – dei parametri di Bruxelles e dei saldi di Francoforte, ma accanto al rispetto degli impegni e alle misure d´emergenza una ricerca autonoma e libera, nazionale e orgogliosa di ripresa e rilancio del Paese, a partire dalla sua affidabilità, dal recupero di fiducia interna e internazionale. Quella che il professore ha chiamato la «sfida del riscatto, che l´Italia deve vincere».
Risanamento e crescita, dunque, credibilità e responsabilità, scrupolo, urgenza e soprattutto «accresciuta attenzione all´equità sociale». Un segno che Monti sente la pressione della disuguaglianza, la vera grande questione di questo inizio di secolo, uno squilibrio che aggrava la crisi, sfiducia la governance dell´Occidente e rischia di corrodere anche il sentimento della democrazia, che è il principale “bene comune” delle nostre società europee moderne.
È qui il patto di responsabilità e d´ambizione tra Monti e Napolitano, che ieri lo ha illustrato alle forze politiche, dopo averle guidate con grande sapienza nei giorni della crisi sospesa sul percorso che portava inevitabilmente al nome di Monti. Solo la Lega sembra sottrarsi all´impegno comune di cui il Paese ha bisogno, ma Bossi dopo aver perduto ogni autonomia e ogni libertà d´azione nel vincolo berlusconiano sembra oggi impegnato soprattutto a inseguire i suoi elettori disorientati, e a tenere insieme su parole d´ordine di battaglia un gruppo dirigente in piena guerra di successione.
I due partiti maggiori danno il via libera a Monti con strategie opposte e sentimenti politici divaricati. Il Pd da tempo chiedeva un governo di salvezza nazionale e oggi lo privilegia rispetto agli interessi contingenti di partito, perché tutti i sondaggi dicono che partirebbe nettamente in testa in una corsa elettorale: di cui però il Paese oggi non ha certo bisogno.
Il Pdl ha chiesto per giorni e giorni il voto come l´ultima ordalia salvifica e riparatrice di un berlusconismo morente. Oggi arriva al consenso per Monti per timore che il “no” significhi no all´unica chance concessa dal contesto internazionale alla salvezza dell´Italia, col rischio di intestare a Berlusconi non solo una politica fallimentare davanti alla crisi, ma il default del Paese.
Il Premier, ridivenuto Cavaliere, ieri ha voluto leggere al gobbo un messaggio solenne al Paese, l´ultimo, con tanto di bandiera a fianco. Ha dichiarato di essersi dimesso per «responsabilità» e «generosità», ha ripetuto di non essere stato sfiduciato, ha evitato di ricordare che in Parlamento il governo era andato sotto perché la sua maggioranza era ormai svanita. Si è lamentato per i fischi e gli insulti che sabato hanno accompagnato il suo percorso verso le dimissioni, dimenticando quante volte ha incendiato il Paese rivolgendosi alla folla, mentre i cittadini che lo attendevano al Quirinale non erano convocati da nessun partito, da nessun movimento, da nessun giornale, ma volevano salutare la fine di un´epoca. Il Cavaliere appoggia infine lo sforzo di Napolitano e sosterrà Monti, assicurando che non uscirà di scena. Anzi, nel momento dell´addio ripete come un mantra il Credo del ´94, proprio quello che i suoi elettori gli imputano di aver tradito. La qualità dell´appoggio di Berlusconi a Monti resta un´incognita. L´ex Premier ha un partito diviso radicalmente tra un´ala moderata e governativa, che vuole lasciarsi alle spalle la stagione degli eccessi, e un´ala radicale che chiede le elezioni: ma in realtà teme che il governo Monti amputi e normalizzi l´anomalia berlusconiana, l´eccezionalità populista e carismatica alimentata dall´inizio dell´avventura e per tutti questi anni, spegnendo il fuoco “rivoluzionario” che ha arroventato il sistema, ma ha protetto il leader in mezzo a tante disavventure. Oggi i falchi sono stati sconfitti. Ma Berlusconi è il vero capo del loro stormo, ed è difficile pensare che accetti a lungo un quadro politico e istituzionale che riunendo le forze non contempla eccezionalità e non ammette anomalie, mentre recupera – finalmente – la Costituzione come orizzonte condiviso e comune. Ieri i toni del Cavaliere sono sembrati responsabili. Poi vedremo. Dipenderà da Monti, certamente. Ma anche da un Paese che sembra essersi risvegliato da un lungo sonno, riscoprendo la soddisfazione e il valore di una “democrazia d´alto stile” (come si diceva nei primi anni della Repubblica) guardando ieri il Presidente e il Professore al vertice del nostro Stato.
La Repubblica 14.11.11