«Io sono pronto a trattare, ma non a essere umiliato». Il pressing dei falchi del Pdl un effetto su Silvio Berlusconi l´ha avuto. Il premier uscente deciso ad appoggiare il governo Monti, ora è meno convinto. Il Cavaliere sa che questa è in realtà l´unica soluzione concreta per uscire dalla crisi e per rassicurare i mercati come è accaduto in questi giorni. Sa che l´Italia rischia di fare la fine della Grecia, soprattutto se la politica non esce dal consueto minuetto e non metabolizza l´urgenza di varare misure draconiane per evitare il baratro. Però sa anche che il suo partito rischia di frantumarsi in mille pezzi e di scomparire a meno di tre anni dalla sua nascita.
I “falchi” del Popolo della libertà come i ministri Romani e Sacconi o uomini vicini al presidente del consiglio come Giuliano Ferrara lo stanno esortando a non cedere al Quirinale e a respingere l´ipotesi di affidare la transizione all´ex commissario europeo. Una componente che pesa nel centrodestra e considera la nascita dell´esecutivo Monti come la fine di Berlusconi e della «rivoluzione berlusconiana». Ma nello stesso tempo a Palazzo Chigi sono consci che un ruolo perfino maggiore lo hanno ormai acquisito le “colombe”. Ministri come Frattini e Fitto, il sottosegretario Letta e un “big” come Scajola ammoniscono che far saltare la carta del “tecnico” equivale a perdere l´ultima speranza di recuperare credibilità nei mercati finanziari. Un gesto di irresponsabilità che l´Italia pagherebbe immediatamente: a partire da lunedì prossimo. La tregua conquistata nelle ultime 48 ore con la borsa di Milano finalmente in territorio positivo e lo spread con i bund tedeschi in discesa di 140 punti base rappresenta l´ultima chance per il nostro Paese. Una possibilità che per gli investitori internazionali è identificata in Monti.
Berlusconi ne è in parte consapevole ma ora pretende di non essere ignorato da Napolitano e dal premier in pectore nella definizione della compagine governativa (cioè la presenza di uomini indicati dal Cavaliere) e del programma. Proprio per frenare gli estremismi dei “falchi” e per giustificare la rottura con il suo alleato storico – la Lega di Bossi – deve poter contare su un coinvolgimento e su qualche assicurazione: ad esempio l´assenza nell´agenda della patrimoniale. Altrimenti le candidature di Alfano e Dini verranno agitate nelle consultazioni che il capo dello Stato molto probabilmente avvierà domani. Uno scenario che porterebbe all´astensione di una fetta del Pdl.
Le pesanti fibrillazioni del centrodestra hanno naturalmente inquietato Monti e soprattutto il presidente della Repubblica. Ha ad esempio sorpreso che in una giornata tanto delicat, il segretario del Pdl Alfano se ne sia andato a Catania a presentare il suo libro. Napolitano da giorni si sforza di sostenere un governo di larga coalizione e ora vuole verificare ufficialmente la disponibilità a sostenere il neo senatore a vita. Ma il capo dello Stato è deciso a perseguire comunque questo obiettivo. Anche a costo di mandare Monti in Parlamento a cercare la fiducia senza una maggioranza precostituita. E in caso di insuccesso, sarebbe lui a portare il Paese alle urne.
La confusione che sta scuotendo il Pdl, si sta riflettendo nel Pd. Che insiste nel chiedere un gabinetto di solo “tecnici” senza politici. Ma soprattutto i Democratici avvertono che possono aderire al progetto solo con il sostegno di tutto il partito berlusconiano. La paura che i mercati travolgano tutti ha ammorbidito le posizioni di Di Pietro. Ma la condivisione delle responsabilità con il centrodestra resta una medicina amara che non tutti nel centrosinistra riescono a ingoiare. E i più responsabili dei due schieramenti iniziano a pensare che per convincere i più riottosi – soprattutto del Popolo della Libertà – ci sia bisogno lunedì prossimo di un altro pesante e pericolosissimo scossone sui mercati finanziari.
La Repubblica 12.11.11