Alle sette di sera Giorgio Napolitano ha giocato la carta di riserva, quella più prestigiosa che teneva da parte da tempo: Mario Monti. La drammatica giornata di ieri, la più terribile per l’Italia dalla crisi della lira del 1992, aveva bisogno di una risposta fortissima, di un segnale che suonasse come un antidoto ma anche un avvertimento.
Antidoto al crollo del nostro sistema e avvertimento alle forze politiche: il tempo è scaduto, non esiste più lo spazio per dilazioni, distinguo, rinvii e giochi a carte coperte. I mercati, gli analisti ma anche i mezzi di comunicazione di tutto il mondo ieri ci hanno gridato, con ferocia e determinazione impressionante, che la nostra credibilità è quasi totalmente svanita e la salvezza può venire soltanto da un forte segnale di discontinuità.
Il Presidente della Repubblica ha colto meglio e prima degli altri – svolge il ruolo di garante dell’Italia ormai da mesi – il messaggio e ha deciso di fare un gesto straordinario, quello di indicare l’uomo giusto per guidare il Paese in una situazione di emergenza.
La mossa presidenziale rispetta però le forme costituzionali e costringe tutti a mettere le carte sul tavolo.
Ora Mario Monti non è più un tecnico, è un senatore a vita il cui decreto di nomina porta la controfirma di Silvio Berlusconi che si è complimentato per la scelta, ora Mario Monti è chiaramente indicato come la soluzione su cui le forze parlamentari possono costruire le condizioni politiche per dare vita ad un nuovo governo.
La scelta di ieri sera non è certo priva di incognite e non ancora è in grado di escludere le elezioni, ma serve a indicare la strada possibile. Soprattutto serve a spingere i partiti a prendersi la loro responsabilità e a dire chiaro al Paese cosa vogliono fare, senza giochetti tattici e furbizie.
La tempesta finanziaria di ieri sull’Italia, che secondo molti analisti ha superato il punto di non ritorno (se è vero lo sapremo soltanto oggi), ha contagiato e trascinato a fondo le Borse di tutto il mondo, ha terrorizzato fondi pensione e consumati speculatori e tutto ciò è accaduto a causa dei nostri vizi antichi.
Qualcuno ieri mattina si è stupito delle reazioni mondiali, in fin dei conti avevamo replicato il modello spagnolo: dimissioni del premier, condivisione in Parlamento tra maggioranza e opposizione di misure necessarie e richieste dall’Europa e promessa di nuove elezioni. Perché allora la Spagna di Zapatero è uscita in fretta dal tunnel e invece noi ci siamo precipitati dentro a una folle velocità? Perché noi abbiamo condito il tutto con la non chiarezza e con bizantinismi tali da rendere le nostre scelte incomprensibili.
Mettetevi nei panni di uno straniero – investitore, giornalista, diplomatico o analista che sia – e capirete perché non hanno capito e hanno reagito con il panico. Le dimissioni di Zapatero erano state annunciate e date allo stesso tempo, qui invece abbiamo inventato l’istituto delle «dimissioni differite» che non si sa quando avverranno e che non sono scritte e firmate da nessuna parte. Tanto che Napolitano a metà pomeriggio è stato costretto a fare una nota scritta in cui sottolinea che non esiste «nessuna incertezza» sulle dimissioni di Berlusconi.
C’era poi il maxiemendamento alla legge di stabilità, quello che dovrebbe rispettare gli impegni presi con l’Europa, peccato che nessuno ieri mattina ne conoscesse i contenuti e che neppure il Capo dello Stato avesse avuto l’altroieri sera (durante il colloquio con il premier uscente) il privilegio di poterlo leggere.
Infine la data delle elezioni. La Spagna l’aveva immediatamente stabilita, invece da noi si sapeva soltanto che dopo le dimissioni di Berlusconi – poste in un periodo di tempo incerto intorno alla fine di questo mese – si sarebbero aperte le consultazioni, che avrebbero potuto portare a risultati completamente diversi e in contraddizione tra di loro. Governo tecnico, elezioni, ribaltone, esecutivo ancora a guida Pdl: insomma un rompicapo irrisolvibile.
Ancora ieri mattina la nostra politica, affascinata e rapita dai suoi vecchi riti, era pronta a buttarsi nell’eterno gioco delle trattative e degli scambi, cercando ancora un’ultima convenienza sulla pelle del Paese. La mossa del Presidente della Repubblica è servita a fare piazza pulita di strategie e tattiche e ora costringerà tutti a misurarsi con la gravità della sfida e a dirci chi sono e quanto valgono.
La Stampa 10.11.11