Il nome rende bene l’idea. Non una legge unica, ma un insieme di norme, emendamenti, circolari e decreti legislativi che avranno come effetto la scomparsa di circa 200 mila precari, di cui più di 50 mila già dal primo luglio. Il tutto al netto dei circa 240 mila nominativi delle graduatorie ad esaurimento della scuola. Il «circa» è d’obbligo perché di stime ufficiali non ne esistono, la stessa Ragioneria generale dello Stato ha dati aggiornati al 2007. Per questo da ieri e in tutta fretta il ministro Brunetta ha dato il via ad un monitoraggio per “stanare” i precari, la loro tipologia contrattuale la scadenza dei loro contratti almeno nella Pubblica amministrazione.
Ammazza-precari. Come definire diversamente qualcosa che, proprio quando si vedeva il traguardo della stabilizzazione, oppure dopo una sentenza del Giudice del Lavoro, fa precipitare su migliaia di precari storici la scure del governo di centro-destra che decide di mandarli a casa?
Il provvedimento certamente più grave riguarda i precari della Pubblica amministrazione e prevede la cancellazione delle stabilizzazioni previste dal governo Prodi e l’impossibilità di rinnovi e prolungamenti dei contratti. E così il posto da statale, quello che fino a qualche anno fa era il sogno delle mamme per i propri figli, un posto sicuro e ben pagato, si sta trasformando per tanti trentenni e quarantenni che da anni lavorano per lo Stato in un vero incubo.
Era un «collegato» alla Finanziaria. È stato approvato dalla Camera dei deputati il 28 ottobre 2008, ma al Senato è stato stralciato. Il 3 marzo è scaduto in termine per la presentazione degli emendamenti in Commissione Lavoro. Il provvedimento andrà in aula per l’approvazione definitiva entro marzo.
La settimana scorsa la denuncia dell’opposizione è riuscita a bloccare in tempo il tentativo di Brunetta (con il parere contrario perfino del ministro Sacconi) di trasformare il disegno di legge in un decreto d’urgenza. È il sintomo del fatto che il governo ha fretta e che i tempi di approvazione del ddl devono comunque essere accelerati. E difatti la marcia indietro di Brunetta («Mai pensato ad un decreto») è stata accompagnata dall’annuncio «del monitoraggio capillare », un passaggio che era previsto dopo l’approvazione definitiva del provvedimento e che quindi taglia i tempi di messa in atto delle disposizioni. Il provvedimento è quello inserito, quasi comicamente, nel disegno di legge 1167 Delega al Governo in materia di lavori usuranti.
L’articolo 7 (Disposizioni in materia di stabilizzazione) al comma 2 recita così: «A decorrere dal 1º luglio 2009, alla data di scadenza dei relativi contratti, le amministrazioni pubbliche (…) non possono in alcun caso proseguire i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e quelli di lavoro subordinato a tempo determinato (…) Il divieto (…) si applica, con la medesima decorrenza, anche ai contratti prorogati (…) tali contratti sono risolti alla data di scadenza oppure, ove manchi il termine finale del contratto, il 30 giugno 2009».
Sul progetto c’è la firma autenticata del ministro Brunetta. La sua battaglia ai fannulloni avrà come effetto collaterale quello di «ammazzare» migliaia di lavoratori che fannulloni non possono essere, perché se non lavorassero non si vedrebbero rinnovare il contratto e perché non hanno nessuna (o pochissime) tutele. Lavoratori che con il governo Prodi avevano visto riconoscere il loro diritto ad un futuro stabile. La legge 296 del 2006 prevedeva un piano progressivo di stabilizzazioni nella Pubblica amministrazione per i precari che ne avessero i requisiti: ingresso tramite prova di selezione, tre anni di durata dei contratti.
A quei giorni risalgono le ultime cifre sicure. «Il totale del pubblico impiego, senza scuola, per il 2005 si ripartisce in 103.349 contratti a tempo determinato, 4.786 contratti di formazione e lavoro, 9.067 contratti di somministrazione di manodopera e 34.457 lavoratori socialmente utili», dichiarava in audizione al Parlamento Giuseppe Lucibello, ispettore generale della Ragioneria generale dello Stato.
Di poco si discosta la stima della Cgil: «Analizzando gli ultimi dati del governo, quelli contenuti nel Conto annuale 2005-2007 della Ragioneria, si contano 102 mila tempi determinati, 58 mila co.co.co, 11 mila interinali, 25mila Lavoratori socialmente utili, 4 mila Formazione lavoro. Per un totale di 201 mila precari», spiega Gianguido Santucci, della Funzione pubblica Cgil. La stima sui contratti che scadono il primo aprile è di 56.281, mentre entro il 2010 scadranno i restanti, scadenzati mese per mese per una stima che va dai 120 ai 150 mila. «Questi sono i dati – continua Santucci – anche se, lo sappiamo, il fenomeno della precarietà, soprattutto riguardo i co.co.co, è molto più ampio».
E proprio per i co.co.co questo provvedimento sarà una vera mattanza. Lo conferma il fatto che il rendiconto della Ragioneria non li contempli. Sono elencate tutte tipologie di contratto: Interinali (i più sicuri dell’addio in quanto formalmente lavoratori privati e non pubblici), Lavoratori socialmente utili, Formazione e lavoro. Nessun cenno ai co.co.co. Il loro dato è stato desunto per differenza.
Il settore pubblico è l’unico a non aver recepito il cambiamento a co.co.pro. (collaborazioni collegate ad un progetto) semplicemente perché in moltissimi casi i co.co.co. della PA fanno lo stesso lavoro del personale a tempo indeterminato. E per questo non possono avere un progetto da svolgere.
L’opposizione è sulle barricate. Sabato Franceschini ha proposto una moratoria di un anno, trovando il plauso di tutto il sindacato. Ma dal governo non è arrivato nessun commento. «La verità è che il governo ha in totale spregio i precari», attacca Paolo Nerozzi, senatore Pd e autore degli emendamenti che cercano di arginare lo stop alla stabilizzazione. «Questi lavoratori nella stragrande maggioranza hanno passato più di un concorso».
Per Nerozzi il governo farà marcia indietro anche per un altro motivo: «I precari della PA hanno professionalità nuove o mancanti. Nuove come i mediatori culturali nelle Questure che trattano con gli immigrati. Mancanti come gli infermieri o come gli accertatori della Guardia di Finanza che combattevano l’evasione fiscale, e qui si capisce perché il governo li vuole mandare a casa».
L’Unità, 10 marzo 2009