Nel finale di partita quasi tutti i regimi, per quanto grotteschi, ritrovano una compostezza a volte tragica. Non è il caso del berlusconismo, che a un passo dal congedo conserva una prorompente carica di buffoneria. Il premier è sbarcato al G20 di Cannes come fosse per il festival del cinema, distribuendo sorrisi e ottimismo.
Accanto a lui, un ministro dell´Economia ormai commissariato, Giulio Tremonti, che esibiva la faccia mesta dell´ostaggio.
Questa la coppia in missione di fiducia per conto del paese, al cospetto dei potenti della terra. In conferenza stampa Nicholas Sarkozy ha espresso, stavolta senza risolini, un aperto e sereno scetticismo sulle promesse del premier italiano e rinviato ogni commento a quando (e se) saranno tradotte in provvedimenti concreti.
Nel frattempo a Roma prosegue la fuga dal Titanic della maggioranza, la frana che travolge il muro di Arcore. Altri due parlamentari del Pdl hanno afferrato la ciambella di salvataggio dell´Udc, tre sedicenti responsabili sono saliti sulle scialuppe del gruppo misto. Dopo un anno di campagna acquisti e allegra fiera delle poltrone, Berlusconi si ritrova con la stessa maggioranza risicata di 314 deputati del 14 dicembre 2001. Alla vigilia dunque di un altro voto di fiducia giocato sul filo di un sì o un no. A proposito, Domenico Scilipoti ha annunciato «potrei votare sì come potrei votare no al maxiemendamento». Una notizia che si spera rimanga all´interno dei confini. Perché se i mercati mondiali sapessero che il piano di salvataggio dell´Italia dipende dagli umori di uno Scilipoti, allora sarebbe la rovina, la bancarotta.
Il clown acrobata che tutti guardiamo da mesi, nell´attesa della caduta, non pare accorgersi di nulla. Berlusconi è concentrato sull´obiettivo di durare almeno un mese. In modo da impedire la nascita di un governo tecnico e poi andare a elezioni a marzo, con la vecchia legge elettorale, in barba al popolo sovrano accorso a firmare il referendum elettorale. Non si accorge di presiedere un governo che non governa ormai da oltre un anno ed è deriso in giro per il mondo, di guidare una maggioranza non più tale nel paese e ora nemmeno in Parlamento. Non si avvede di essere rimasto solo con la propria corte, abbandonato dai mondi che avevano sostenuto fino a ieri la sua ascesa, dagli industriali ai vescovi. Soprattutto non si rende conto di essere finito in un gioco troppo più grande di lui, in un passaggio storico dove l´Italia si gioca il presente e il futuro di potenza industriale. Dall´irresponsabile atteggiamento di chi per due anni ha negato l´esistenza stessa della crisi, il presidente del consiglio è passato a una specie di indifferente fatalismo. «Too big to fail», troppo grande per cadere, è la nuova parola d´ordine dei berluscones di fronte alla possibilità di bancarotta dell´Italia. Una formula non solo vagamente iettatoria, visto che è stata usata prima di tutti i grandi fallimenti di questi anni, da Enron a Lehman Brothers, ma per giunta insensata. Se si considera il debito pubblico greco, 300 miliardi, e il nostro, a quota 1900, la frase andrebbe semmai invertita. Il debito italiano è troppo grande per essere salvato. Ed è quanto sostengono ormai apertamente le autorità americane, non costrette a essere diplomatiche come quelle tedesche o francesi.
È arrivato il momento di separare il dramma italiano dalla farsa del berlusconismo. Un altro mese di show del premier, di voti di fiducia aggiustati nella notte con aggiunte di sottosegretari, dei balletti di Scilipoti e compagnia cantante, può costare ai cittadini anni di sacrifici. La stagione di Berlusconi è finita. Perché deve finire in una catastrofe per tutti?
La Repubblica 04.11.11
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“L´isolamento di Silvio tra i “Grandi” perde il sorriso e nessuno gli vuole parlare”, di Anais Ginori
Sarkozy in pressing: “Quali sono i tempi delle tue misure? La credibilità è tutto”. Costretto a origliare un brandello di conversazione, mentre Angela Merkel e Barack Obama stanno animatamente parlando. Seduto al tavolo dei Grandi, ma ormai relegato in disparte, insieme ai paesi emergenti del Brics. Fotogramma dopo fotogramma, Berlusconi appare sempre più isolato, rimane ai margini del summit. È il momento della plateale indifferenza, una condanna alla solitudine. Durante il pranzo del G20, quando il presidente americano si alza per andare a discutere con altri commensali, lo supera, ignorandolo. La mattina, si incrociano all´hotel Carlton. E già sulla scelta dell´albergo, l´Italia è lontana dai partner europei: il duo Merkozy alloggia sotto lo stesso tetto, al Majestic. Obama sta andando a fare jogging sulla Croisette, lo saluta con una pacca sulla spalla, mostra i muscoli con un´allusione non casuale alla virilità. Niente più. Il leader Usa ha ancora il ricordo di quando al G8 di Deauville Berlusconi lo ha fermato per parlargli dei suoi guai giudiziari. Nella foto di famiglia del G20, il Cavaliere è di ghiaccio, tenta di avvicinarsi agli altri, cerca invano una complicità con Kirchner che parla con Sarkozy. Poca confidenza, in queste occasioni pubbliche sembra un sorvegliato speciale. E anche il suo famoso sorriso, ogni tanto, si spegne davanti ai flash.
Un venditore che non trova più acquirenti. È già ora di pranzo quando un consigliere del presidente francese esce dall´incontro con Berlusconi, scuotendo la testa: «Solo fumo negli occhi». Il Cavaliere si presenta al pre-vertice del G20, dedicato a evitare il contagio sull´Italia dopo il panico seminato dalla Grecia, con una profusione di annunci che appaiono poco chiari e soprattutto incerti nella realizzazione. «Non abbiamo più bisogno di promesse, servono fatti», ripetono Sarkozy e Merkel al premier italiano, mentre lo spread tra Btp e bund tocca un nuovo record.
Berlusconi arriva alla riunione agguerrito, chiede addirittura di parlare per primo. «Si segue l´ordine prestabilito», ribatte l´Eliseo. Quando poi tocca finalmente a lui, i partner europei sono distratti o assenti. La Cancelliera va via quasi subito per incontrare Barack Obama, lascia Berlusconi solo davanti al ministro Schauble. Il presidente francese si alza diverse volte durante la discussione, poi però incalza il Cavaliere sulle misure che sta elencando. Con il passare dei minuti, la riunione si trasforma in un terzo grado a Berlusconi. «Quali sono i tempi?», chiede più volte Sarkozy. Berlusconi arranca, cerca di illustrare l´iter parlamentare, i complessi equilibri della maggioranza.
Durante le tante interruzioni, il premier sta continuamente al telefono con Roma. Tratta, gesticola, minaccia. È la plastica rappresentazione di un leader fragile, in bilico. Francesi e tedeschi cominciano a innervosirsi. Ci sono momenti di tensione, racconta chi sta al tavolo. Invece di rassicurare, lo “show” italiano – così lo definisce un testimone – getta i partner europei nello sconforto. «Nessuno gli crede più» chiosa un consigliere di Sarkozy. E infatti il presidente francese ripete in conferenza stampa: «La credibilità è tutto».
La Repubblica 04.11.11