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Licenziamenti, escalation di Sacconi «Ho paura che si arrivi all’omicidio», di Marco Ventimiglia

Il governo ha deciso, con la “liberalizzazione” dei licenziamenti inseriti nella lettera alle istituzioni europee, di provocare la dura reazione delle opposizioni e dei sindacati e di far saltare il patto sociale. Ieri tuttavia, dopo aver attaccato, il ministro Maurizio Sacconi ha vestito i panni della vittima. Anzi, ha toccato il tasto più drammatico, quello del terrorismo. È successo nel corso di un’intervista a SkyTg24, dove il tema sarebbe dovuto essere, appunto, la contestata missiva inviata all’ Unione europea. «In questo momento – ha dichiarato il ministro del Lavoro – vedo una sequenza dalla violenza verbale alla violenza spontanea, alla violenza organizzata, che mi auguro non arrivi ancora una volta anche all’omicidio come è accaduto, l’ultima volta dieci anni fa, proprio con il povero Marco Biagi nel contesto di una discussione per molti aspetti simile a quella di oggi».
«COME DIECI ANNI FA»
Quanto al nesso con l’attualità,per Sacconi sarebbe evidente «perché già allora parlavamo non di licenziamenti facili, termine che è assolutamente falso, ma di come incoraggiare le imprese a intraprendere, ad assumere, ad ampliarsi, a crescere anche attraverso l’idea che se poi le cose non andassero bene, se poi le cose si rivelassero difficili, le imprese, come hanno fatto il passo in avanti sarebbero magari costrette anche a un mezzo passo indietro». Presunte analogie che portano alla plumbea affermazione: «Ho paura, ma non per me perché io sono protetto, bensì per le persone che potrebbero non essere protette e diventare bersaglio di violenza politica che nel nostro paese non si è del tutto estinta».
Parole non pesanti, pesantissime, che hanno provocato, e non poteva essere altrimenti, reazioni immediate. «Spero – ha commentato SusannaCamusso – che Sacconi parli perché ha elementi per farlo e non per inquinare un clima già difficile». Per il segretario della Cgil «questi argomenti vanno trattati con grande cautela, sennò poi si rischia di invocare le cose… Noi abbiamo una lunga esperienza di mobilitazione in cuinon è mai successo niente, chi sta in piazza con noi deve attenersi alla non violenza. Il 15 ottobre ha lanciato un segnale preoccupante e in tanti hanno scelto una strada che va condannata e penso che non si debba più ripetere. Ma il punto non è criminalizzare la protesta bensì fare indagini serie perchè commettere reati deve essere perseguito». Mentre il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha invitato proprio il governo a spegnere la «miccia» della tensione sociale, il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, ritiene che «le affermazioni di Sacconi sul terrorismo rappresentano una doppia provocazione: dal punto di vista sociale, perché il governo continua a mettere in pericolo i posti di lavoro degli italiani con misure come quella sui licenziamenti facili che porterebbero la disoccupazione all’11%, e dal punto di vista
dell’ordine pubblico perché si butta benzina sul fuoco delle tensioni sociali che sono state create da un governo che ha ignorato la crisi».
L’AUSPICIO DI ICHINO
Sull’evocazione del terrorismo è intervenuto anche Pietro Ichino, che proprio ieri aveva auspicato su vari quotidiani «un codice del lavoro semplificato, composto di 70 articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente». Per il giu- slavorista e senatore del Pd, «il rischio di atti di violenza minacciati da terroristi non può essere utilizzato per comprimere il dibattito, o peggio per accollare a chi dissente la responsabilità oggettiva di eventuali aggressioni commesse da altri. Però – ha concluso – a rasserenare il clima contribuirebbe anche una maggiore serietà del dibattito. Per esempio occorrerebbe che i sindacati, invece di stabilire dei tabù entrassero nel merito della questione, indicando i punti di consenso e di dissenso, e soprattutto indicando le soluzioni alternative rispetto a quelle che respingono».

L’Unità 31.10.11

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Il terrorismo. Camusso: “O ha le prove o il ministro stia zitto nelle fabbriche e negli uffici non ci sono segnali”, di Roberto Mania

Vedo il rischio di una rivolta sociale, in particolare al Sud. Ma non ha nulla a che vedere con il terrorismo. L´omicidio di Biagi avvenne al termine di una lunga stagione di terrorismo che riuscì a entrare nelle fabbriche. Non si può evocare il terrorismo perché c´è una discussione vivace su questioni molto sensibili socialmente.
«Nelle fabbriche, negli uffici, nei luoghi di lavoro non c´è alcun segnale che faccia presagire un ritorno agli anni della violenza politica». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, è irritata e preoccupata per le affermazioni del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Le considera perlomeno «esagerate». Fuori luogo: «Servono a spostare l´attenzione su altro, mentre sono il lavoro e i licenziamenti il tema al centro della discussione».
Eppure negli ultimi giorni lo scontro sull´intenzione del governo di modificare la legge sui licenziamenti si è fatto molto aspro. Lei davvero non vede il rischio che, in un clima di questo tipo, qualcuno possa passare al gesto violento, fino all´omicidio, come dice Sacconi?
«Intanto vorrei dire che se un ministro della Repubblica fa affermazioni di quel tipo dovrebbe aver qualche elemento che le sostenga. E se ce l´ha non dovrebbe costruire un clima di preoccupazione e usarlo come argomento per sostenere la sua tesi sui licenziamenti, ma dovrebbe chiedere un intervento del ministro dell´Interno e chiedere al Parlamento di affrontare questo tema per mettere in atto tutte le misure per scongiurare qualsiasi azione violenta».
Sta sostenendo che Sacconi sia un irresponsabile?
«Le sue sono affermazioni che piombano dal nulla e fanno sorgere molti interrogativi».
Quali?
«Per esempio che si voglia spostare l´attenzione. Come se una discussione inevitabilmente vivace su una questione molto sensibile socialmente e politicamente, come quella dei licenziamenti, possa di per sé evocare il terrorismo».
Sacconi sostiene anche che si stia creando un clima simile a quello che precedette l´uccisione di Marco Biagi. Lei esclude qualsiasi similitudine? Di certo, anche allora, lo scontro era sull´articolo 18.
«L´omicidio del professor Biagi avvenne al termine di una lunga stagione di terrorismo che riuscì a entrare in alcune fabbriche ma trovò proprio nel sindacato un baluardo fondamentale. Tutto questo, per fortuna, oggi non c´è più. Non vedo nulla di paragonabile alla violenza politica di quegli anni. Oggi ci sono altri fenomeni, come quello che abbiamo visto all´opera il 15 ottobre scorso a Roma. Ma non mi pare proprio che siano soggetti anche solo lontanamente identificabili con i lavoratori o abbiano qualche attinenza con la discussione sui licenziamenti o il mercato del lavoro. Piuttosto vedo alcune analogie con il “dopo 15 ottobre”: anche lì, anziché occuparsi dei violenti, si è cambiato argomento e ridotte le possibilità di manifestazione».
Con gli accordi separati alla Fiat la tensione sindacale, anche per colpa della crisi, è tornata altissima. Lei esclude, in questo contesto, qualsiasi tentativo dei nuovi e vecchi movimenti politici violenti di entrare nelle fabbriche?
«Non disponiamo di alcun strumento di indagine come possono avere le forze dell´ordine e i magistrati, ma non abbiamo avuto segnali in questa direzione. Nemmeno nelle aziende in cui il conflitto è stato più pesante. Piuttosto vedo un altro rischio: quello della rivolta sociale, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Ma questo non ha nulla a che vedere con il terrorismo. Sono proprio i timori di una rivolta di chi è disperato ed è senza speranza che ci fanno insistere nel chiedere politiche attive per il lavoro, mentre la questione dei licenziamenti getta soltanto benzina sul fuoco».
Negli anni di piombo i terroristi hanno provato ad avere contatti con alcune aree delle organizzazioni sindacali. Potrebbe accadere qualcosa di simile ora?
«Per le cose che conosco, anche se il mondo sindacale italiano è vastissimo, direi proprio di no».
Nemmeno le divisioni tra Cgil, Cisl e Uil potrebbero aver potuto favorire qualche “incursioni” nel movimento sindacale?
«Lo escludo. Se c´è una cosa che ci ha sempre uniti è la nostra determinazione a contrastare ogni forma di violenza».
Non crede che pure un linguaggio violento possa facilitare, come è già accaduto, il passaggio, appunto, dalle parole ai fatti?
«Guardi, noi della Cgil siamo i primi a denunciare il degrado del linguaggio politico. Anche in questo modo è venuto meno il rispetto delle istituzioni. Restando al mondo sindacale uno dei discrimini è proprio la violenza, anche nelle parole».
Lei ha definito Sacconi «il peggior ministro del Lavoro nella storia della nostra Repubblica». Ha detto anche che punta «scientificamente a ridurre i diritti dei lavoratori». Non c´è un´eccessiva personalizzazione contro il ministro del Lavoro?
«Sono opinioni che rientrano nella normale discussione politica. Tuttavia cerco sempre di riferirmi alle istituzioni e non alle persone che pro tempore ricoprono quel ruolo. Detto ciò, sappiamo tutti che quando si sceglie di assumere un incarico pubblico si è sottoposti alla libera critica».

La Repubblica 31.10.11