Licenziare. E poi? Anche di fronte a questa domanda l’Italia sembra divisa non solo tra occupati e disoccupati, mai occupati, rinunciatari per forza, donne e uomini, ma anche di fronte a occupati nella grande azienda e dipendenti della piccola impresa (vera o falsa che sia, cresciuta poco o miniaturizzata per convenienza), tra chi può contare sulla cassa integrazione, su un sussidio per la mobilità,su un prepensionamento e chi si ritrova a zero. Paolo Onofri, professore di Politica economica all’ Università di Bologna, ha guidato nel 1997 un gruppo di esperti (la «Commissione Onofri», appunto) che presentò al governo Prodi una proposta di riforma degli ammortizzatori sociali. Quattordici anni sono passati abbastanza inutilmente, nel senso che qualche ritocco è stato adottato, ma nella sostanza quel progetto è rimasto nel cassetto. Forse se lo si fosse tenuto aperto quel cassetto qualche idea e qualche mezzo in più per affrontare il peso sociale della crisi ci sarebbe. Anche per discutere più serenamente di licenziamenti, cioè di persone che non sono vuoti a perdere.
Professor Onofri, si potrebbe discutere serenamente di licenziamenti?
«Dico una cosa ovvia se dico che in questo paese la libertà di licenziare già esiste, che non sarebbe una priorità ribadirla o accentuarla, che non è moltiplicando la facilità di licenziare che si esce da questa situazione di crisi. Di licenziamenti comunque si può discutere, ma in un altro modo…».
Un altro modo che non mi sembra compaia nella lettera di Berlusconi all’Unione europea. Come ne valutam gli impegni? C’è del buono in quell’elenco?
«Potrei rispondere che i propositi dichiarati si misureranno in funzione alla capacità di realizzarli. Aggiungo una considerazione ovvia: il nostro debito pubblico pone una questione di credibilità, in rapporto alla sua dimensione e pure in rapporto alla credibilità del governo che dovrebbe lavorare per ridurlo. Quale è la credibilità del governo? Questa è la domanda. Perché nel lungo elenco si possono pure leggere cose buone, ma quando le vuol mettere in atto un governo che non è credibile rischiano di risultare inefficaci e di creare nuova tensione sociale».
È solo una questione di numeri ridotti della maggioranza?
«No. La credibilitànon si misura secondo i numeri del Parlamento. Prodi ha governato, e non per breve tempo, con i voti contati. La credibilità viene dalla determinazione, dalla compattezza, dalla chiarezza e dalla coerenza delle strategie, dalla capacità anche di presentare i propri obiettivi in modo corretto, di motivarli, alimentando la fiducia. Il problema dei licenziamenti lo si deve considerare dentro la necessità naturale di mobilità di una azienda, che non può essere sempre uguale a se stessa e che dentro una crisi propria,
per obsolescenza delle tecnologie o per arretratezza dell’organizzazione, o dentro la crisi di un settore merceologico, può trovarsi nell’obbligo di cambiare per sopravvivere… Nuove
macchine, nuove produzioni. Può trovarsi nell’obbligo di ridurre il personale o di aver bisogno di una manodopera con diversa qualificazione professionale. Deve farlo tagliando i suoi organici».
Vuol dire che se passo dai lavandini alle piastrelle, per restare tra le ceramiche,
devo cercarmi le persone giuste…
«Sono normali ristrutturazioni aziendali, che non devono pesare sui lavoratori, il cui reddito deve essere in qualche modo sempre sostenuto. Per un interesse generale. Chiunque lo capisce. La disoccupazione andrebbe vista come un ‘transito’: occupazione disoccupazione
nuova occupazione. In mezzo una attività di formazione che aiuti il lavoratore a ricollocarsi. Da questo punto di vista c’è un deficit. Finora lo strumento consueto, lo strumento di cui si parla sempre visto quanto vi si ricorre oggi, è la cassa integrazione. Strumento che piace ai sindacati perché mantiene il legame tra il dipendente e l’azienda e che piace all’azienda, che si tiene a disposizione quella manodopera che ha contribuito a preparare. Ma la cassa integrazione dovrebbe essere legata ad una particolare congiuntura e ha un difetto: chiude in una specie di riserva anche quanti potrebbero più utilmente, per capacità, per caratteristiche, trovare una collocazione altrove».
Cassa integrazione non significa però flessibilità e pare che per questo governola flessibilità sia il traguardo principe contro la crisi…
«Non è così e comunque, se si parla di flessibilità, si chiama in causa un altro strumento, l’indennità di disoccupazione, che copre la mobilità, una assicurazione per chi ha lavorato, non certo una forma assistenziale per chi non ha mai lavorato. Qui sta il problema: si potrà discutere, a proposito di indennità di disoccupazione, di abusi, di comportamenti opportunistici, di inerzia di questo o quello nel cercare un’alternativa di lavoro, ma che fare di fronte a una platea sempre più vasta di inoccupati, di giovani che non hanno mai trovato
un’occupazione, di donne che vi hanno rinunciato? L’intento dovrebbe essere quello di estendere l’indennità di disoccupazione, un’operazione non certo indolore per la finanza pubblica. Ma qualcosa di nuovo, in una situazione tanto grave, si dovrebbe pensare, precisando che quando si prospettano licenziamenti facili ci si rivolge comunque a metà dei lavoratori, perché per l’altra metà degli occupati, sta in aziende sotto i quindici dipendenti, i
licenziamenti sono già facili, senza iusta causa, neanche la cassa integrazione».
Nel vostro progetto ai tempi di Prodi si parlava di una indennità di disoccupazione universale, cancellata la cassa integrazione. Non se ne fece nulla, malgrado l’evidente efficacia sociale. Perché?
«Si pensava a un istituto di protezione più esteso. Tuttavia credo che i sindacati, o almeno parte di essi, non gradissero la novità, temendo di perdere con la cig un pezzo del proprio ruolo politico e negoziale: cosa vera, perché si sarebbe introdotto un automatismo. Obiezioni vennero sollevate anche dalla Confindustria per ragioni di finanziamento. Sta di fatto che la legge Biagi ha modificato radicalmente le relazioni sul mercato del lavoro, mentre il sistema degli ammortizzatori sociali è rimasto purtroppo quello di sempre. Chiedete a un giovane precario?».
L’Unità 30.10.11
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“Ma il vero nodo resta la cassa integrazione verso un miliardo di ore anche nel 2011”, di Valentina Conte
Al Sud le domande di Cig sono in forte aumento: +54% in Calabria e +71% in Sardegna
Allarme Cgil: nel 2012 i cassintegrati potranno scendere perché saranno disoccupati. Un miliardo di ore di cassa integrazione anche nel 2011. Triste record che l´Italia potrebbe battere di nuovo. Per il terzo anno consecutivo. Crisi nera. Altro che licenziamenti facili. Perché se le aziende non ripartono, i licenziamenti saranno facilissimi. Soprattutto al Sud.
Così, mentre l´Inps prova a rassicurare, comunicando che nei primi nove mesi le ore richieste di Cig sono diminuite del 21% rispetto a un anno fa e quelle effettivamente utilizzate nei primi sette superano di poco il 43% (otto punti in meno dello stesso periodo del 2010), i sindacati all´unisono lanciano l´allarme: «Non è un´inversione di tendenza».
Da gennaio, calcola la Cgil, oltre 930 mila lavoratori sono in cassa integrazione, con una perdita di reddito pari a 2,8 miliardi, quasi 6 mila euro a testa. E altri 55 mila rischiano, in attesa di segnali dai 90 tavoli di crisi ancora aperti. «Il livello di Cig attuale è tre volte quello del 2008. Con questi numeri non si può essere soddisfatti per un rimbalzino, trainato per lo più dall´export», commenta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil. «La crisi è profonda e una fetta sempre più grande di lavoratori sta passando dalla cassa al licenziamento. Nel 2012 o arriva la ripresa o la disoccupazione esploderà». «È vero che a settembre vi è stato un significativo calo», conferma Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. «Ma la quantità di Cig rimane troppo elevata». Soprattutto nelle regioni del Sud che, in controtendenza, nei primi tre trimestri fanno segnare un´impennata di richieste. Calabria (+54%) e Sardegna (+71%) su tutte. Ma anche Liguria (+5%). Tra i settori, spiccano edilizia e commercio che attingono a piene mani agli strumenti di sostegno per i lavoratori, quando industria e artigianato, nel complesso, sembrano tirare il fiato. In generale, un´Italia al solito duale, con il Nord messo meglio.
Il triste traguardo di un miliardo di ore sembrerebbe dunque non lontano. Da gennaio a settembre già chieste 732 milioni di ore di Cig, contro i 926 dello stesso periodo 2010. Ma quello passato è stato un anno record nella storia industriale italiana: 1,2 miliardi di ore in 12 mesi. I lavoratori che vanno in cassa – prima ordinaria, poi straordinaria, infine in deroga – poi tornano in azienda? «E´ questo il punto. L´ultima spiaggia è la mobilità», risponde Fammoni. «Ma quando scatta, il rapporto è rescisso. Il lavoratore è a casa, i numeri della Cig calano, si impenna la disoccupazione. E il 52% dei senza lavoro lo è da più di un anno, dice l´Istat. Dunque fuori da ogni tutela, visto che l´indennità di disoccupazione non va oltre i 12 mesi».
Le crisi aziendali in atto non confortano. Fincantieri ha quasi 2 mila dipendenti in Cig su 8.200. Ansaldo Breda (gruppo Finmeccanica) 500 su 2.400. Per Alenia (sempre Finmeccanica) si trattano ben 9 anni di Cig e mobilità per 1.118. Alla StMicroelectronics di Catania da giovedì 2.200 sono in cassa ordinaria. Alla Merloni rischiano in 1.500. Oltre un terzo dei dipendenti Fiat nei primi 9 mesi ha lavorato meno di 40 giorni. A Mirafiori, 35. Il resto, Cig. Altro che licenziamenti facili.
La Repubblica 30.10.11
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“Cgia: più disoccupati con le nuove norme. Fini: salirà la tensione”, di Luigina Venturelli
Che cosa sarebbe successo, durante questi anni di dura crisi economica, se le leggi che regolano il mercato del lavoro fossero state come le desiderava Sacconi? A quantificare il ben prevedibile salasso occupazionale ciha pensato l’associazione artigiani della Cgiadi Mestre, che ha stimato quasi 738 mila persone disoccupate in più rispetto a quelle conteggiate oggi dall’Istat. LA POLEMICA TRA CGIA E SACCONI Il calcolo, secondo quello che il segretario Giuseppe Bortolussi definisce «un puro esercizio teorico», è stato fatto applicando le recenti disposizioni previste dal provvedimento segnalato all’Ue sui licenziamenti per motivi economici a quanto avvenuto negli ultimi due anni e mezzo: il tasso di disoccupazione nel nostro Paese sarebbe salito all’11,1% anzichè essere all’8,2% attuale. Ed oltre 700mila lavoratori dipendenti – quelli che tra l’inizio di gennaio del 2009 e il luglio di quest’anno si sono trovati in cassa integrazione a zero ore – si ritroverebbero a casa senza un posto di lavoro. Una simulazione che non è piaciuta al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che, fedele allo slogan lanciato da Berlusconi, deve vendere la norma sui licenziamenti facili come ricetta segreta per favorire le assunzioni. Prima ha cercato di togliere credibilità alla ricerca della Cgia, «destituita di ogni fondamento», in quanto elaborata da un ente «guidato dal candidato del centrosinistra alla Presidenza della Regione Veneto ». E poi è tornato ad insistere su «ciò che l’Unione europea chiede all’ Italia», vale a dire «una combinazione di maggiore flessibilità nella risoluzione del rapporti lavoro edi maggiore protezione del lavoratore». Un obiettivo che Sacconi ritiene raggiunto – ha spiegato ieri sulle pagine del Corriere della Sera – rendendo i licenziamenti per motivi economici «più trasparenti», ma anche «contrastando l’abuso dei co. co.co e dei tirocini, promuovendo il lavoro giovanile con l’apprendistato e quello femminile con i contratti di inserimento e part-time, aumentando l’occupazione nel Sud col credito d’imposta». LE REAZIONI DI CAMUSSO E FINI Immediata, ancora una volta, la reazione della segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso: «Siamo convinti che non c’è necessità di licenziare per fare più occupazione. Il ministro Sacconi usa le indicazioni della Ue e della Bce per giustificare i licenziamenti mentre nella lettera della Bce non si parla di questo. È irragionevole pensare di scardinare tutta la legislazione sul mondo del lavoro». Ma la distanza tra quanto annunciato e quanto effettivamente realizzato dal governo ha fatto scattare anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini:«Se come mi sembra di aver capito si tende soltanto a favorire la possibilità di licenziare, corriamo il rischio di veder moltiplicare il tasso di disoccupazione che da qualche anno a questa parte sta crescendo. Mi auguro – ha aggiunto il leader Fli – che il governo non sia così irresponsabile da non confrontarsi con le parti sociali e con le categorie economiche per tutelare non solo le imprese ma anche per farle crescere e competere. Altrimenti si rischia un autunno caldo che ci farebbe tornare indietro». Mentre ilPd giudica prive di credibilità, oltre che politicamente discutibili, le affermazioni del responsabile Welfare: «Sacconi è un ministro paradossale» commenta Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera. «Dopo aver reintrodotto il lavoro a chiamata e lo staff leasing, e dopo aver abolito la tutela per le giovani madri dal licenziamento in bianco, finge una conversione sulla via di Damasco denunciando l’abuso dei contratti a progetto e dei tirocini da lui stesso favoriti».❖
L’Unità 30.10.11