Dalla commedia di Palazzo Koch alla farsa dell´Eurotower. Dopo aver gestito in modo penoso il “dossier” della Banca d´Italia, il governo sta gestendo anche peggio la «pratica» della Banca Centrale Europea. «Lorenzo Bini Smaghi si deve dimettere», ripete pubblicamente e ossessivamente Berlusconi, davanti agli allibiti partner europei e agli addomesticati microfoni di Canale 5. Il presidente del Consiglio non fa mistero della sua frustrata indignazione, per un caso che mette ancora una volta in cattiva luce l´Italia e inasprisce i già compromessi rapporti con la Francia. Ne parla a tutti. Meno che al diretto interessato. Bini Smaghi, infatti, per ora va dritto per la sua strada. «Non mi ha chiamato nessuno, non ho parlato con nessuno. Dunque, non ci sono novità».
E invece almeno una novità c´è. È importante, perché rappresenta plasticamente l´anomalia del caso italiano. Ma non è risolutiva, perché alla soluzione del rebus manca ancora il contributo chiave del premier. La novità è la solita: di fronte alla conclamata latitanza del capo del governo (impegnato a raccontare barzellette agli stati generali del Commercio estero) e alla spazientita iattanza del portavoce di Sarkozy (convinto che una soluzione vada trovata «entro domani») è toccato ancora una volta al presidente della Repubblica farsi carico, suo malgrado, del problema. Giorgio Napolitano ha ricevuto Bini Smaghi al Quirinale. Quasi un´ora di colloquio. Con la consegna di un rigoroso e rispettoso silenzio sui contenuti. Ma con la consapevolezza che il nodo è tutt´altro che sciolto. È anzi più ingarbugliato che mai, e ci vorrà tempo per venirne a capo,
Ma non è difficile capire quale sia l´orientamento del membro italiano nel board della Bce, e quale sia il ragionamento del Capo dello Stato. Dopo un´ultima riunione a Francoforte in mattinata, di rientro verso Roma per l´incontro sul Colle Bini Smaghi continua a ripetere quello che va dicendo ormai da quattro mesi. «Qualunque decisione io prenda, dovrà essere definita e concordata a livello di Banca centrale europea». Come dire: non prendo ordini dalla politica, nazionale o internazionale. E se devo dimettermi dal consiglio dell´Eurotower, questa deve essere una scelta autonoma, che matura in quella sede e in nessun´altra. Dunque, a poco servono le urla alla luna del Cavaliere, o le grida stizzite dell´Eliseo.
Bini Smaghi, sul piano politico, è in una posizione insostenibile. Già dal giugno scorso, quando Mario Draghi è stato designato ufficialmente alla guida della Bce al posto di Jean Claude Trichet, il membro italiano ha rifiutato ostinatamente di liberare il suo posto, come esige l´Eliseo. Due italiani e nessun francese, nel Consiglio direttivo della più importante istituzione europea: impensabile, a Parigi e non solo lì. Berlusconi, da allora, non è stato in grado di districare la matassa, intrecciandola addirittura a quella della nomina del nuovo governatore di Bankitalia.
Il gelo con Sarkozy è nato da quella prolungata, estenuante inettitudine del premier. I tentativi di trovare una soluzione sono stati vaghi e vani: Berlusconi, per convincerlo a lasciare libera la poltrona a Francoforte, gli ha proposto la presidenza dell´Autorità Antitrust, e continua tuttora a ventilargliela per vie traverse. Ma Bini Smaghi ha rifiutato e continua a rifiutare. «Da Statuto – ribadisce ormai da tempo, e lo ha fatto anche ieri nel faccia a faccia con Napolitano – posso lasciare solo per un incarico di pari livello: bisogna tener presente che nel Consiglio direttivo della Bce il mio voto vale quanto quello di Draghi…».
Un´impuntatura riprovevole. Una pretesa personale. Ma Bini Smaghi, sul piano giuridico, ha una freccia al suo arco. È il parere che la Direzione generale servizi giuridici della Bce ha inviato al board dell´Eurotower il 24 maggio scorso. In quel testo c´è scritto chiaro e tondo che un membro del board non può disporre come vuole del suo incarico, e meno che mai possono disporne i governi, pena «la reputazione e la credibilità della Bce». «Qualunque gesto di dimissione deve essere compatibile con il principio di indipendenza personale… Dimissioni di fatto imposte con l´obiettivo di evitare che due membri del Comitato esecutivo abbiano la stessa nazionalità sarebbero incompatibili con quel principio».
Dunque, secondo questo parere, Bini Smaghi avrebbe una sorta di diritto-dovere a resistere alla «moral suasion» di Roma e di Parigi. Non solo. Avrebbe lo stesso diritto-dovere di resistere anche alle offerte di altri incarichi. «L´incompatibilità con il principio di indipendenza – recita il testo della Banca – emergerebbe se la nuova posizione esterna non fosse commisurata allo status di membro del Comitato esecutivo e del Consiglio direttivo della Bce, rendendo evidente l´esistenza di pressioni esterne». Non varrebbe, secondo questa tesi, neanche il «fatto nuovo» dell´ingresso di un altro italiano (Draghi) al vertice degli organismi direttivi dell´Eurotower. Non può essere quello l´elemento che induce un altro membro a rassegnare contestualmente le sue dimissioni. Queste ultime «non possono coincidere nel tempo, né possono essere legate apertamente con la nomina di un altro membro del Comitato esecutivo, ma devono essere gestite con procedure e in momenti totalmente separati».
Questa, sotto il profilo «tecnico», è la linea Maginot di Bini Smaghi. L´ha riconfermata anche al presidente della Repubblica, ricordando tra l´altro (e non a caso) il precedente del francese Christian Noyer, che dal giugno 2002, prima di passare alla guida della Banca di Francia, restò nel board della Bce insieme al presidente Trichet (francese a sua volta) per un anno e mezzo. Anche per questo, oggi, servirà tempo prima di arrivare alle eventuali dimissioni del membro italiano.
Di fronte a questi argomenti, il ragionamento di Napolitano è quello che ha già svolto in diverse conversazioni riservate, dedicate proprio ai casi incrociati della Banca d´Italia e della Bce. L´autonomia di queste istituzioni è sacra. Ma il dovere di un vero «grand commis» è sempre e comunque quello di servire il suo Paese, tutelandone l´interesse nazionale. È evidente, allora, che Bini Smaghi presto o tardi dovrà lasciare il suo incarico. Comunque prima della scadenza naturale, fissata al maggio 2013. Ma è altrettanto evidente che, per raggiungere questo obiettivo, si dovrà ricostruire la tela strappata dei rapporti personali, delle procedure istituzionali e delle relazioni internazionali.
A farlo dovrà essere il presidente del Consiglio. Tocca a Berlusconi parlare con Bini Smaghi, cercando una via d´uscita dal vicolo cieco politico e giuridico nel quale tutto si è bloccato. Tocca a Berlusconi riflettere insieme a Draghi, individuando una exit strategy che non pregiudichi l´indipendenza della Bce. Tocca a Berlusconi, infine, ricucire il dialogo con Sarkozy, tentando un compromesso sui tempi e una possibile collocazione del membro italiano in un eventuale, altro organismo sovra-nazionale di pari livello (dalla Bei alla Bers, per esempio). Napolitano fa la sua parte. Da il suo contributo, nei limiti che la Costituzione gli assegna. Ma è irritato per questa assurda «supplenza». Non vuole più togliere le castagne dal fuoco a un governo che non governa, e a un premier che ormai agisce costantemente «sotto tutela». Un premier «a responsabilità limitata».
La Repubblica 29.10.11