Si celebra l’otto marzo in un clima di emergenza per l´ondata di stupri. E forse è ora di smettere di parlare di violenza sulle donne e parlare di violenza dei maschi.
Omicidi, stupri in strada, abusi in famiglia, stalking. Si parla molto di “difendere le donne”. Ma chi le difende? Gli uomini, ovviamente Così l´uomo aggressore scompare e si vede solo l´uomo protettore: soldati in città, ronde, voglia di linciaggio. Tutte risposte maschili, in quella logica proprietaria che è la radice della misoginia violenta. Chi va nelle scuole a prevenire il bullismo di genere si sente dire: “Problemi da vecchi”. Ma poi la verità viene fuori. L´indottrinamento che spinge a una virilità malintesa scorre da sempre sottotraccia in molti spot, libri, film.
«Ispettore, ma da quand´è che si va in carcere se si picchia la moglie?». Damiano Maranò ricorda ancora l´espressione di sincero stupore sul viso di quell´uomo, mentre gli metteva le manette. Era uno dei primi arrestati dal “Pool famiglia” della Procura di Milano. «Pensai fosse uno squilibrato, uno che non si rendeva conto delle proprie azioni. Quindici anni dopo non lo penso più. Penso invece che gli uomini, molti uomini, siano davvero lucidamente cattivi con le donne». La sua autocoscienza di genere (maschile), l´ispettore Maranò se l´è fatta sul campo. Aprendo centinaia di porte di casa e trovandoci dietro donne piangenti, sfigurate, sanguinanti, «anche peggio: legate alla sedia e tagliuzzate col coltello, o devastate da una pentolata d´acqua bollente». E mariti sbalorditi che fosse reato. Ricorda i nomi. Tutti, e dire che sono tanti. Ce n´è anche qualcuno famoso, attori, professionisti.
«Non c´è differenza. Poveracci, ricconi, sconosciuti, celebrità. Ma dico io, è possibile che alla fine l´unica cosa che li accomuna è che hanno tutti il pisello fra le gambe, scusi se non trovo altre parole?»
Uomini che odiano le donne è il titolo fortunato di un giallo di Stieg Larsson che ha fatto il giro del mondo. Lascia la possibilità, almeno grammaticale, che esistano uomini che non odiano le donne. Ma non così tanti come vorremmo credere. Se una donna italiana su tre confida all´Istat di essere stata maltrattata da un uomo almeno una volta nella vita, i casi sono due: o c´è in giro un´attivissima task force di pochi imprendibili maneschi, o un terzo circa di uomini ha commesso nella vita almeno una violenza contro una donna. Se una donna su sette è stata picchiata fra le mura domestiche, vuol dire che più o meno in una casa su sette c´è un uomo violento. Che se lo sbatti fuori di casa diventa violento il doppio o il triplo (il 64 per cento delle separate e divorziate ha subito violenze dagli ex). Per non risparmiarci nessun orrore: due donne maltrattate su tre hanno ricevuto «spinte, strattoni, capelli tirati», una su due «schiaffi, calci, pugni, morsi», una su quindici un tentativo di strangolamento.
Che la misoginia violenta esista, non è oggetto di dubbio. Semmai c´è da chiedersi se gli uomini siano diventati più cattivi ultimamente. Come suggerirebbe il clamore mediatico sull´”ondata di stupri”. Ma se chiedi a uno che i dati sulla criminalità li maneggia da anni, il sociologo bolognese Marzio Barbagli, ti frena: «Dove il non-denunciato, il sommerso, supera il 90 per cento è impossibile individuare tendenze». La violenza misogina è una zuppa torbida, basta immergere il mestolo giusto per tirare su brodaglia a volontà: è stato sufficiente dare vigore di legge a una parola, stalking (il crescendo di persecuzioni di un pretendente respinto descritte dal libro di Federica Angeli e Emilio Radice, Rose al veleno) e in poche settimane la polizia ha scovato episodi di stalking ovunque, da Bari dove l´arrestato (per cranio rotto) gridava «volevo solo delle spiegazioni!», a Roma dove è volato addirittura il coperchio di ghisa di un tombino, a Genova, Torino, Palermo…
Ma un dato storico ce l´abbiamo: gli omicidi. Gli omicidi vengono denunciati tutti. Per forza. Ebbene, le statistiche dicono che gli uomini ammazzano molto più delle donne, e questo non sorprende: siamo i guerrieri, gli ancestrali titolari della violenza. Poi, che gli uomini ammazzano soprattutto altri uomini, e neanche questo sorprende troppo, à la guerre comme à la guerre. Ma da un po´ sembrano aver modificato i bersagli. Se nel ‘94 meno di due maschi omicidi su dieci sceglievano una donna come vittima, nel 2006 erano già più di tre. Se gli omicidi in assoluto calano, i femminicidi proporzionalmente crescono. Del resto, su tre delitti in famiglia, due riguardano mariti che ammazzano le mogli.
«E allora piantiamola una buona volta di parlare di “violenza sulle donne” e cominciamo a dire “violenza degli uomini”». Parla un uomo, Marco Deriu. Sociologo all´Università di Parma, firmatario dell´appello “La violenza sulle donne ci riguarda”. «Si parla solo di “difendere le donne”. Ma chi le difende? Gli uomini, è chiaro. Così l´uomo come autore della violenza scompare, e si vede solo l´uomo protettore. Soldati per le strade, ronde, tentativi di linciaggio degli stupratori, perfino la “legge del carcere”: sono tutte risposte maschili, legali o illegali, ma tutte dentro la medesima logica proprietaria che genera la violenza sulla donna: confermano una supremazia, non la contrastano».
Come si interrompe l´eterno ratto delle Sabine? Anche nella cultura femminista si fa strada ormai l´idea che il problema va aggredito intervenendo sull´altra parte, su chi picchia. A Bologna la Casa delle donne per non subire violenza, storico rifugio delle maltrattate, è presa d´assalto: quasi raddoppiato negli ultimi anni il numero delle richieste di asilo. Sono soprattutto donne straniere, ma Giuditta Creazzo rifiuta l´apparente deduzione: «Quando il violento è uno straniero, è “colpa di una cultura patriarcale”. Quando è un italiano, è “un problema di psicopatologia”. Sono due modi di scaricare lontano, sullo straniero o sul deviante, una responsabilità che appartiene invece alla normalità della cultura maschile». Giuditta coordina da tre anni il progetto Muvi, il cui programma è presto detto: cosa ne facciamo degli uomini che menano. Curarli? Punirli? «Per prima cosa, mettere al sicuro le donne». Insomma intanto prenderli, isolarli. «Tagliando l´alone di indulgenza. Quello che fa dire al vicino di casa o anche al maresciallo di paese che è meglio “non mettere il dito”, che “si aggiusteranno tra loro”».
Ma finora è tutto un lavoro di difesa, di scudi e barricate. Corsi di tai-chi per massaie, spray al peperoncino nella borsetta. Tutto giusto. Ma è come dire: la guerra è eterna, attrezziamoci. Corsa agli armamenti. Stefano Ciccone è un pacifista, vent´anni fa rimase sconvolto da un caso di violenza, passato alle cronache come “lo stupro di piazza dei Massimi”. «Soprattutto dalle reazioni. Dai commenti maschili. Mi accorsi che perfino nel movimento c´era un fondo di pregiudizio violento». Qualche anno fa Stefano ha fondato Maschile Plurale, forse la prima rete di riflessione e intervento maschile contro la violenza alle donne. Adesso sono una dozzina di gruppi, da Pinerolo a Parma, da Torino ad Anghiari a Pietrasanta, ad affermare che va aperta finalmente una “questione maschile”. Fanno conferenze, documenti, lezioni. Qualcuno li chiama “i femministi”, qualcuno peggio. I blog dell´orgoglio neomaschile come Uomini 3000 li accusano di «invitare gli innocenti a riconoscersi rei». Ma soprattutto incassano sorrisini. Battute. Sfottò. «Accettiamo volentieri il rischio del ridicolo. È un segnale prezioso. Ci dà la prova della nostra efficacia: dimostra che sta scattando la reazione difensiva della cultura maschile».
Cultura potente perché invisibile. Trentacinque anni fa perfino le femministe rimasero perplesse quando Carla Ravaioli, giornalista e militante, pubblicò Maschio per obbligo, antologia dell´indottrinamento subliminale alla virilità nascosto nella pubblicità, nei libri di testo, nei copioni del cinema e della tivù. «Non cambierei quasi nulla di quel libro», dice oggi, «se non sottolineare che, in una società dove la violenza è ormai uno strumento accettato e quotidiano della politica, la pedagogia del maschio è ancora più forte, più spudorata, e contagia anche le donne». Se ne accorgono i Medici per i diritti umani, onlus impegnata nei paesi in guerra (quindi anche nel nostro, dove la guerra alle donne è sempre in corso), quando vanno nelle scuole a prevenire il bullismo di genere con una lezione per immagini che s´intitola appunto Maschio per obbligo. Sfilano sullo schermo i poster pubblicitari che ormai non mostrano più solo donne disponibili a offrirsi, ma anche uomini che comunque sia se le prendono: come le “perquisizioni” palpeggianti di una campagna della Relish, o quel poster di D&G che sembra sublimare uno stupro di gruppo. I ragazzi (e le ragazze) annoiati sbuffano: «È un problema vecchio, roba di voi adulti, tra di noi non c´è più differenza tra maschi e femmine, siamo alla pari». Poi scavi un po´. Approfondisci. E la verità viene fuori. «È vero, io controllo gli sms della mia ragazza». «Il mio ragazzo mi vieta di andare in gita scolastica con gli altri». «Mi ha minacciato di far vedere a tutti le nostre foto intime». «Se la vedo in discoteca con un altro, la meno». Dice Paolo Sarti, il pediatra che conduce gli incontri: «Non si nasce col gene della violenza maschile. Ma è come un virus che s´inocula molto in fretta, e attende il suo momento per esplodere». È una malattia, la violenza misogina? «No, ma anche i guasti socio-culturali hanno un´ezio-patogenesi». Delicata è la terapia. «Gridare che la violenza è sbagliata non serve: non si sentono violenti. L´unica strada è mettere alla berlina i comportamenti che per loro sono invece premianti: l´arroganza, i ricatti, le vanterie sessuali. Prendere in giro i modelli che ammirano, ridicolizzare i maschi dementi di cui è piena la tivù. Ma bisogna stare molto attenti: se sono solo le ragazze a ridere, i maschi reagiscono incattivendosi ancora di più».
Smontare la misoginia violenta dall´interno: è una parola. In Italia, il maschilismo è ormai assurto a cultura di governo con le battute guascone di Berlusconi. Sotto traccia, ma esplode a volte in modi anche meno ridanciani, come nello showdown del 24 settembre 2003 a Montecitorio, quando alcuni (poco) onorevoli apostrofarono così le colleghe: «Altro che Camera dei deputati, vi portiamo in camera da letto!». Se non è odio misogino quello che sembra guadagnare terreno ogni giorno, cos´è? «Paura delle donne», risponde senza esitazione l´ispettore Maranò, che la sa lunga. «Paura», concorda Carla Ravaioli. «Paura», insiste Marco Deriu: «Gli uomini non odiano le donne, ne sono terrorizzati. Ho analizzato molti casi di cronaca. Nella maggioranza delle violenze domestiche, il violento cerca disperatamente di sottomettere la donna di cui in realtà è debitore, dipendente, senza la quale sarebbe finito. La violenza misogina di oggi non è il ritorno del patriarcato, è il sintomo del suo crollo». Ma attenti, che i calcinacci in testa fanno male.
da Repubblica
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