Sono passati solo due anni da quando Tremonti, in occasione di un convegno organizzato dalla Banca Popolare di Milano, sosteneva solennemente che «per una struttura sociale come la nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia», aggiungendo che «la stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale».Ieri, con una svolta di 180 gradi, un governo screditato e senza più una maggioranza politica, facendo leva sulle richieste delle cancellerie europee, ha messo sotto attacco due dei pilastri fondamentali – lavoro e pensioni – di quella stabilità sociale che sembrava così centrale nella visione di uno dei suoi principali esponenti. Il contenuto della lettera che Silvio Berlusconi ha consegnato ai capi di Stato e di governo europei riuniti a Bruxelles va addirittura al di là della noiosa retorica che nell’ultimo decennio
ha accompagnato quasi tutte le riforme del mercato del lavoro. Dopo aver cercato per anni di indebolire tutto l’impianto giuslavoristico italiano agitando un supposto conflitto generazionale capace di contrapporre i figli precari ai padri ipergarantiti, il governo ha gettato la maschera eliminando la sicurezza del posto di lavoro a tutti, indipendentemente dal
contratto di lavoro. Visto nell’ottica di un rilancio del nostro paese non si capisce davvero quale dovrebbe essere l’utilità di questo provvedimento. Lo sviluppo di una economia si favorisce casomai facilitando le assunzioni, non certo i licenziamenti. E non regge nemmeno l’idea più volte propagandata che, potendo liberarsi più facilmente della forza lavoro in periodi
di crisi, le imprese assumerebbero più di buon grado nelle fasi ascendenti del ciclo. Come dimostrò ormai molti anni fa Olivier Blanchard, ora capo economista al Fondo monetario, la flessibilità può incidere sulla variabilità dell’occupazione – favorendone una discesa più rapida nei periodi di crisi e una altrettanto rapida ripresa nei periodi di crescita sostenuta – ma non ha nessun effetto sul livello dell’occupazione, che dovrebbe essere ciò che ci interessa maggiormente. Forse però sta proprio qui la chiave per capire le ragioni di questa scelta.
Nel momento in cui il Consiglio europeo egemonizzato dai governi conservatori dispensa a tutti la stessa combinazione di politica economica, basata su feroci tagli ai sistemi di welfare, privatizzazioni senza alcun ragionevole criterio e compressione dei diritti sociali, la semplificazione delle procedure per il licenziamentodei lavoratori diventa un ingrediente fondamentale per tentare di rendere più rapida, efficace e incisiva questa ricetta deflattiva. I risultati però rischiano di essere deleteri, non solo per le drammatiche conseguenze sociali,
ma anche per gli insostenibili costi finanziari derivanti da un probabile aumento della disoccupazione. Quel che è peggio, una ricetta così dura si rivelerà anche inutile – anzi, dannosa – se applicata contemporaneamente da tutti i Paesi.
L’Unità 27.10.11